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GUERCINO

Giovan Francesco Barbieri (Cento 1591 - Bologna 1666), si prese il soprannome di Guercino per lo strabismo dell’occhio destro. Mostrò un precoce talento per il disegno grazie al quale a soli 9 anni cominciò la sua avventura di pittore. Il padre, di condizione assai modesta, riuscì a farlo ospitare a casa di un tal Bertozzi, pittore altrimenti sconosciuto, in tal modo il piccolo Guercino imparò a trafficare con i colori, per “poca moneta”. Proseguì il suo apprendistato passando da un modesto pittore ad un altro altrettanto modesto.
Guercino ricorderà questo periodo giovanile per l’influenza che ebbero su di lui le opere di Ludovico Carracci, in particolare la “Madonna con Bambino e Santi”, che chiamava “la mia Carraccina”.

Nel percorso artistico di Guercino si è soliti distinguere “tre maniere”, la prima maniera è ispirata dalla natura, ritratta con un verismo lontano da ogni accademia. L’approccio naturalistico ha fatto dire che dipingeva sotto il segno di Caravaggio, tuttavia l’uso della luce che in Caravaggio è funzionale alla drammatizzazione della rappresentazione, in Guercino ha valore di per se stesso. Il “Paesaggio al chiaro di luna” è una delle più alte testimonianze di questa prima maniera.

Raggiunta una certa notorietà nel 1617 fondò nella sua Cento una scuola di pittura, “L’Accademia del Nudo”, cosa non del tutto sorprendente la scuola ebbe grande successo, come testimoniano  “le Bagnanti”.
E qui dobbiamo fare un inciso: Guercino rimase celibe per tutta la vita, pare che lo scapestrato non volesse porre limiti alla propria libertà.

In questo periodo conquistò la stima di Alessandro Ludovisi, che, divenuto Papa con il nome di  Gregorio XV lo chiamò a Roma, dove il cardinale Ludovico Ludovisi, nipote del Papa, mise nelle sue mani una villa che aveva appena acquistato dal cardinal Del Monte (lo scopritore di Caravaggio).

Questa villa, decantata da Goethe, Gogol, Stendhal,  e il suo immenso parco nel 1883 fu devastata da una sciagurata lottizzazione alla quale invano si oppose lo stesso D’Annunzio. Ciò che oggi resta è il cosiddetto Casino dell’Aurora di villa Boncompagni-Ludovisi. I Ludovisi erano in gara con l’altra grande famiglia romana: i Borghese, che avevano affidato al trionfante Guido Reni la decorazione di un’ala di una delle loro ville (il casino dell’Aurora dell’attuale villa Pallavicini).

Rispetto al classicismo di Reni Guercino mostra una felicissima fantasia, giocata sulla dinamicità delle forme, delle luci e dei colori; come rimarca un capolavoro della prima maniera “Et in Arcadia Ego” del 1618, esposto nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini. La tela rappresenta due pastori che in modo diverso reagiscono alla visione di un teschio collocato su un rudere nel quale è scritto: ET IN ARCADIA EGO, il significato è che anche nell’idilliaca Arcadia è presente la morte.

La fantasia del Guercino - clicca per ingrandire

A Roma nacque la seconda maniera del Guercino, il cui massimo esempio è la grande pala “la Sepoltura di Santa Petronilla”, che oggi nella Pinacoteca Capitolina ha una sala dedicata, ma inizialmente e fino al 1730 si trovava in San Pietro, d’inciso ricordiamo che la Pinacoteca Capitolina espone una eccellente (o forse dovremmo dire eccezionale), collezione di “Guercini”.

La collezione di “Guercini”

Sempre a Roma nella cappella di Sant’Agostino, della omonima chiesa, è esposta una sua pala d’altare, che al fianco ha due tele di Giovanni Lanfranco, in San Pietro in Vincoli vediamo “la Santa Margherita” e, in Santa Maria della Vittoria, “la Santissima Trinita’.

Il parmigiano Lanfranco di nove anni maggiore di Guercino dovette esercitare una certa influenza sul corregionale, come può rilevare chi avrà la curiosità di confrontare le opere dei due grandi emiliani (si osservino soprattutto le figure maschili), che vi presentiamo in questa nostra escursione nella pittura barocca.

Venuto a morte Papa Gregorio XV Ludovisi, nel 1624 tornò a Cento carico di gloria, di onori e ben provvisto di denari, la sua fama ormai dilagava per tutt’Europa, tanto che in Inghilterra lo invitarono offrendosi di pagargli le sue opere “a qual prezzo avesse voluto”, ma visto che dietro casa aveva una comoda e ricca committenza, Guercino si cavò d’impaccio spedendo a Londra una sua Semiramide, eludendo il fastidio del viaggio.

Al ritorno a Cento inizia la sua terza maniera, che vede critici i sui critici.

L’accusa è quella di appiattirsi sul classicismo di Guido Reni, che di lì a poco sarebbe morto lasciando campo libero a Guercino e l’accusa più feroce è quella di aver imitato Reni per ereditare la sua committenza.

Questa terza maniera vide il confronto aspro tra Accademici e anti Accademici (siamo o non siamo il paese dei Guelfi e dei Ghibellini?), la Visione di San Bruno del 1647, fu per gli uni (gli Accademici), la prova della acquisita maturità di Guercino, mentre per gli altri era prova sì, ma della rinuncia ai suoi ardori giovanili.

Giudicate voi.

 

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