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LIBRO V - DALLA MORTE DEGLI SCIPIONI ALLA BATTAGLIA DEL METAURO

I – Mentre Capua e Siracusa erano assediate, in Spagna gli Scipioni, per consolidare le vittorie riportate contro Asdrubale Barca e gli altri condottieri Punici, attiravano nell'alleanza con Roma le popolazioni che prima erano state soggette al dominio dei Cartaginesi.

Peraltro i Punici, temendo che l'avanzata Romana li avrebbe estromessi da quella terra che per lunghi anni, con le sue ricchezze, aveva assicurato loro ogni sorta di beni, ordinarono a Magone Barca di portare in Spagna le truppe e il denaro promesso ad Annibale.


Magone Barca

Per opporsi agli Scipioni i nostri nemici allestirono tre eserciti, uno comandato da Asdrubale Barca, l'altro dal fratello Magone ed il terzo da Asdrubale figlio di Gisgone.
Gli Scipioni, non volendo concedere ai nemici il tempo di addestrare i propri uomini, decisero di passare all'attacco.
A Gneo, forte di una legione e di ventimila mercenari Celtiberi, toccò il compito di affrontare Asdrubale Barca.

Publio con il grosso dell'esercito si sarebbe opposto a Magone e ad Asdrubale Gisgone, mentre la flotta Romana doveva impedire ai Cartaginesi qualunque sbarco.

 

II – Asdrubale Barca si era attestato in prossimità della città di Amtorgi, che si trova nel meridione della Spagna sulla riva del corso superiore del fiume Beti (Guadalquivir), Gneo partito da Tarraco si avviò con il suo esercito e i mercenari Celtiberi incontro al nemico.

Asdrubale per quanto disponesse di un numeroso contingente, tuttavia diffidava della delle proprie truppe, in massima parte formate da reclute.
Pertanto tramite gli Spagnoli, che militavano nel suo esercito, promise ai capi dei Celtiberi grandi premi se avessero defezionato, tradendo Gneo Scipione.
Costoro non trovarono vergognoso accettare la proposta del Cartaginese, così dalla sera alla mattina Gneo, abbandonato dai mercenari, si trovò alla mercé di Asdrubale Barca.

Preso atto che non aveva forze sufficienti per fare fronte al nemico, né poteva ricongiungersi al fratello, Gneo decise di ritirarsi ordinatamente, inseguito dai Cartaginesi.
In pari tempo Publio Scipione che si trovava nelle vicinanze di Cartagena veniva quotidianamente attaccato dalla cavalleria Numidica comandata dal giovane Masinissa.

Publio, venuto a conoscenza che Indibile si stava avvicinando con un forte contingente, nell’intento di congiungersi con i Cartaginesi, per non consentire che le forze nemiche aumentassero ulteriormente, decise di attaccare Indibile in qualunque luogo lo avesse stanato. 


Indibile

Lasciato negli accampamenti un presidio comandato dal legato Tiberio Fonteio, partito nottetempo, andò in caccia di Indibile.

Il mattino successivo incontrato il nemico in marcia lo attaccò risolutamente, ma quando già stava pregustando il gusto della vittoria, la cavalleria Numidica, della quale pensava di essersi liberato, lo assalì.
Girate le insegne si preparò a resistere al nuovo nemico.

La battaglia si fece disperata quando arrivarono anche Magone e Asdrubale Gisgone, che circondarono i Romani.

Publio, perduta ogni speranza, avanzato in prima linea cadde con le armi in pugno.

Quando i nemici videro esanime il comandante Romano, alzarono alte grida di gioia, disperdendosi per dare notizia della vittoria.


Publio Scipione

 

III - In tale frangente Asdrubale Gisgone e Magone Barca diedero prova di scarso discernimento; infatti invece di inseguire i Romani, che ormai ripiegavano senza speranze, decisero di andare in aiuto di Asdrubale Barca.


Asdrubale Gisgone

I Romani sopravvissuti, guidati dai centurioni, prima raggiunsero il campo presidiato da Tiberio Fonteio poi, dopo un breve riposo, si misero in marcia alla volta di Tarraco, mentre Fonteio attendeva Gneo Scipione.

Gneo intanto non avendo notizie del fratello, quando vide arrivare Magone e Asdrubale Gisgone, fu preso da viva preoccupazione, temendo che solo la sconfitta di Publio avrebbe potuto causare un tale arrivo.

Decise pertanto di ritirarsi quanto possibile.


Tiberio Fonteio

La mattina successiva quando i Cartaginesi videro che Gneo aveva levato il campo, mandarono la cavalleria Numidica ad inseguirlo.

Quando Gneo vide avanzare i cavalieri nemici, mise al sicuro i suoi uomini su un altura dove i Numidi non osarono avanzare.
Indi eretta una barricata di fortuna si apprestò a resistere ad oltranza.

Il giorno appresso arrivò anche Asdrubale Barca.
Fu gioco facile per una così gran massa di aver ragione dei Romani.

Gneo vista avvicinarsi la fine, ordinò ai soldati di fuggire nelle vicine selve, per tentare di raggiungere il campo difeso da Fonteio.
Lui stesso con pochi dei suoi, che non lo vollero abbandonare, senza timore affrontò la morte.


Gneo

Ed ancora una volta i Cartaginesi non seppero approfittare della buona sorte, infatti non inseguirono i soldati di Gneo, ma persuasi che con la morte degli Scipioni la guerra fosse finita, si abbandonarono ai festeggiamenti.
Invece i soldati di Gneo dalle selve raggiunsero gli accampamenti dove li aspettava Tiberio Fonteio.

Da qui tutti quanti mossero verso Tarraco.

 

IV – La morte degli Scipioni fu accolta a Roma con non meno dolore che paura.
Chi mai ora avrebbe tenuto a freno i Cartaginesi?
Chi avrebbe impedito loro di raggiungere Annibale in Italia?

Gran parte dei popoli Spagnoli manifestarono un profondo cordoglio, in particolare per la morte di Gneo, che da otto anni si trovava in Spagna facendosi amare per la sua moderazione e l'equità con la quale aveva trattato sia gli amici che i nemici.
Temevano inoltre gli Spagnoli che i Cartaginesi, non più tenuti a freno dagli Scipioni, avrebbero imposto il loro crudele dominio, tuttavia, e forse per questo, i popoli amici di Roma non defezionarono.
In memoria degli Scipioni i Tarraconesi eressero un sepolcro

La loro fiducia fu ricompensata.


Sepolcro degli Scipioni

Il Senato Romano, non volendo a nessun costo perdere la Spagna, ordinò a Gaio Claudio Nerone di scegliere dalle truppe che aveva comandato a Suessula, seimila uomini e trecento cavalieri e di arruolare tra i Latini altrettanti fanti ed ottocento cavalieri.

Nerone imbarcate le truppe a Puteoli fece vela per Tarraco, qui giunto ricevette in consegna da Tiberio Fonteio i superstiti degli eserciti degli Scipioni.

Saputo che i comandanti Cartaginesi si erano nuovamente divisi, dopo pochi giorni uscito da Tarraco si mise in caccia di Asdrubale Barca che si era attestato nelle vicinanze di Iliturgi (Mengibar in Andalusia).

Nerone approfittando della trascuratezza dei Cartaginesi, che trovandosi così a meridione pensavano di essere al sicuro, occupò le alture attorno ai Sassi Neri dove si era accampato Asdrubale.

Questi vistosi perduto, trasse in inganno Nerone e promettendo ogni giorno una cosa diversa, nottetempo metteva in salvo i suoi reparti.

Troppo tardi Nerone si accorse di essere stato raggirato dal Cartaginese. Quando si gettò al suo inseguimento questi si era posto in salvo.

 

V – Prese Capua e Siracusa, a Roma fu deciso di rinforzare l’esercito in Spagna e di nominare un comandante in capo.
Quando il figlio di Publio Cornelio Scipione - che si chiamava come il padre - pose la sua candidatura, indetti i comizi centuriati, tutte le centurie votarono unanimemente in suo favore.

Pochi uomini sono nati per comandare, Publio fu uno di questi.

Si narra che un giorno sfidato a duello da un barbaro, abbia risposto: “Mia madre ha generato un Imperator (comandante vittorioso), non un Bellator (attaccabrighe)”.

Né gli fu di ostacolo la giovane età, aveva allora venticinque anni, poiché già da otto anni militava nell’esercito Romano, dando ripetute prove di valore e di fermezza.

Aveva inoltre un fascino del tutto particolare, che sapeva alimentare lasciando che si dicesse che era di stirpe divina.

I senatori compresero che sarebbe stato inutile tentare di opporsi alla volontà popolare, ma prudentemente gli affiancarono quale aiutante il pro-pretore Marco Giunio Silano; in pari tempo, come detto, rinforzarono il contingente comandato da Publio Scipione con diecimila fanti e mille cavalieri. 


Marco Giunio Silano

Il nuovo Scipione partì da Ostia con trenta navi.
Quando passò al largo di Massalia i Massalioti in segno di onore lo scortarono fino in Spagna con quattro triremi.

Sbarcò infine ad Emporiae.

Da qui ordinato alle navi di seguirlo, proseguì via terra per Tarraco, dove lo raggiunsero le ambascerie delle città alleate.

Nella grande adunanza che si tenne Scipione prese la parola e con quella serenità che gli derivava dalla incrollabile fiducia in se stesso, con quella forza di persuasione che nasceva dalle sue doti, confortò gli amici di Roma, lodando gli alleati per la fedeltà dimostrata nelle difficoltà, i soldati per il loro coraggio e per quanto avevano fatto per suo padre e suo zio, Tiberio Fonteio per l’abilità con la quale aveva portato in salvo i superstiti, i centurioni per essersi mostrati l’invincibile baluardo dell’esercito Romano.

Quando l’adunanza si sciolse tutti furono persuasi che il nuovo Scipione era il degno erede di Publio e di Gneo.

Restituita la visita a quei popoli che avevano inviato ambasciatori, Scipione rientrò a Tarraco nei quartieri invernali, mentre Claudio Nerone tornava a Roma sostituito dal pro-pretore Marco Silano. 

 

VI – I comandanti Cartaginesi distribuirono le proprie forze in questo modo: Asdrubale Barca, fattosi mandare da Cartagena ingenti rifornimenti, si fortificò lontano dal mare tra Cartagena stessa e Sagunto.

Annibale di Gisgone e Magone Barca posero il campo in prossimità di Gades (Cadice), dove potevano ricevere rifornimenti dall'Africa.

Quando arrivò la buona stagione Scipione, convocati gli alleati alla foce dell'Ebro, uscì da Tarraco, seguito dalla flotta comandata dal luogotenente Gaio Lelio, l'unico a conoscere i suoi disegni.


Gaio Lelio

Asdrubale, prevedendo l'attacco di Scipione, schierò il suo esercito in assetto di guerra ma fu raggirato da Publio che, mandatogli incontro con grande strepito un reparto di cavalleria, indusse il Cartaginese a rinserrarsi nel proprio campo.

Scipione intanto, lasciato Silano con tremila soldati a presidiare i territori al di qua dell'Ebro, con il grosso dell'esercito e gli alleati avanzò verso Cartagena, avendo ordinato a Gaio Lellio di procedere lentamente con le navi, in modo che nello stesso momento la città fosse insidiata da terra e dal mare.

Cartagena era la più importante città della Spagna, qui i Cartaginesi custodivano gli ostaggi che si erano fatti consegnare da vari popoli, qui era il loro tesoro, qui avevano ammassato enormi quantità di frumento, qui si trovava il loro arsenale, con innumerevoli macchine da guerra.
Prendere Cartagena sarebbe stata una grandiosa  impresa per i Romani, per i Cartaginesi una perdita catastrofica.       
Asdrubale Barca, che dei comandanti nemici era il più esperto, si mostrò più abile nel tendere tranelli che nel condurre la guerra, aveva infatti lasciato a Cartagena un piccolo presidio, forse pensando che, trovandosi a poche giornate di marcia, all'occorrenza avrebbe potuto accorrere in sua difesa.
Così corse un rischio comunque inspiegabile.

Peraltro più tardi venimmo a sapere che in quei giorni si era allontanato dal suo stesso campo.

 

VII – Superata Sagunto, Scipione convocò l'adunanza dell'esercito.


Scipione

Di fronte alla tribuna gli aquiliferi si allinearono con i signiferi e gli antesignani, mentre i vessilliferi sventolavano le bandiere.


Aquila legionaria

In prima fila avanzarono i centurioni, seguiti dai veterani.

Quando il comandante salì sulla tribuna, scese un grande silenzio.


Signiferi

Allora Scipione presa la parola rivolse ai soldati la sua allocuzione.
Cominciò ricordando la sua militanza iniziata otto anni prima al Ticino, poi il Trasimeno, poi Canne, gli eserciti Romani annientati, i comandanti morti con le armi in pugno.
Poi ancora il tradimento di Capua e quello di Siracusa.

A questi fatali ricordi una grande commozione scosse l'animo dei soldati. 


Centurioni

“E tuttavia - proseguì Scipione - mai neanche nei giorni più funesti ci piegammo all'idea di una pace vergognosa.
Giusta fu la nostra incrollabile virtù, perché ora propizi sono gli Dei immortali.
Fulvio ha riconquistato Capua, Marcello Siracusa e Levino ha sconfitto Filippo il Macedone, che alleato di Annibale si apprestava ad attraversare il mare Adriatico.
Oggi il mio animo, che fino ad ora mi ha sempre predetto il vero, ha presagito che la Spagna sarà nostra e ciò che la mente presagisce è confermato dall'infallibile ragione”.

A questo punto, quando gli sguardi di tutti erano fissi nel suo, svelò i propri piani.

“Soldati vi sto conducendo a conquistare Cartagena, voi scalerete le mura di una sola città, ma con quella sola città vi sarete impadroniti di tutta la Spagna.
Lì i Cartaginesi tengono gli ostaggi di tutti i popoli Spagnoli, appena saranno nelle nostre mani, liberati dal timore quei popoli verranno nella nostra alleanza.
A Cartagena il nemico custodisce il proprio tesoro, indispensabile per pagare i mercenari.
A Cartagena ha accumulato macchine da guerra, armi ed ogni specie di apparato bellico.
A Cartagena ha immagazzinato enormi quantità di frumento.

Per essi Cartagena è fortezza, granaio, erario, arsenale.

Tra i Pirenei e Gades questo è il loro unico approdo.

Soldati date il vostro appoggio alla stirpe degli Scipioni e voi veterani guidate al di là dell'Ebro un nuovo esercito, un nuovo comandante e in breve riconoscerete nel mio il volto di Gneo e Publio che con la vostra lealtà, il vostro valore, avete per tanti anni servito.
Portate alla vittoria la stirpe degli Scipioni, portate alla vittoria le armi di Roma”.

Travolti da infrenabile entusiasmo, quasi senza aspettare gli ordini, i legionari presero l'allineamento.
Nulla ci avrebbe potuto fermare.
In sette giorni giungemmo dalla foce dell'Ebro a Cartagena. 

 

VIII – Nello stesso momento in cui arrivammo da terra, Gaio Lelio apparve sul mare.

Scipione ben sapeva che le nostre speranze di vittoria si basavano sulla sorpresa. Infatti non dovevamo concedere ad Asdrubale Barca il tempo di poter accorrere con il suo esercito, prendendoci alle spalle.

Pertanto non appena il campo fu fortificato, i nostri legionari accostate le scale alle mura, tentarono la scalata. Ma le mura di Cartagena erano altissime, né le scale erano sufficientemente alte, né sufficientemente solide per reggere al peso dei nostri.
Visto vano il tentativo Scipione ordinò la ritirata.

Intanto Gaio Lelio mandò dei marinai ad esplorare lo stagno che, confinante con il porto, raggiunge il fianco meridionale delle mura.

Costoro scoprirono che durante la bassa marea, lo stagno poteva essere attraversato a piedi.
Scipione informato da Lello ordinò che cinquecento uomini, tra i più valorosi, si tenessero pronti ai suoi ordini.

Quasi che il vento fosse agli ordini di Scipione, prese a spirare da settentrione, facendo rifluire nel mare le acque dello stagno. In quella il nostro comandante ordinò che i legionari si ammassassero sul lato opposto delle mura, per attirare i nemici, che d'altro canto, fidando nella protezione dello stagno, poco si curavano su lato delle mura fronte mare.

Dato il segnale i cinquecento, attraversato fulmineamente lo stagno, scalarono le mura.
Quando i Cartaginesi si accorsero dell'accaduto i nostri erano già in città e scardinavano le porte per fare entrare l'esercito.
Il comandante del presidio Cartaginese tentò un'estrema difesa riparando nella rocca della città, ma quando vide che vana era la speranza, consegnò se stesso e la rocca ai Romani. 

Fu fatto un immane bottino, tutto l'oro e l'argento dopo essere stato accuratamente pesato fu consegnato al questore Gaio Flaminio.
Otto navi da guerra, cadute nelle nostre mani furono aggiunte alla flotta di Lelio, nel porto furono catturate sessantatré navi da trasporto, molte con il loro carico.

Scipione prese cura personalmente degli ostaggi, volendo con la sua generosità conciliarsi i popoli Spagnoli.

 

IX – La notizia della caduta di Cartagena in breve si diffuse per l'intera Spagna e con essa la fama di Scipione, che fatto imbarcare Gaio Lelio su una quinquereme strappata al nemico, lo mandò a Roma per annunciare la vittoria.
Lelio conduceva con se il comandante del presidio Cartaginese e quindici senatori che per caso trovandosi a Cartagena furono da noi catturati.
Portava anche l'oro e l'argento e sulle navi di scorta innumerevoli prigionieri.

Giunto a Roma fu accolto nel Foro dal Popolo festante.
Il Senato proclamò un giorno di festa, ordinando a Lelio di tornare in Spagna, appena possibile, con quelle stesse navi con le quali era venuto.

In Italia intanto Annibale, persa Capua, senza speranze di aiuti dalla Sicilia e da Filippo V, tentò ancora di espugnare la rocca di Taranto, bloccandone il porto con una flotta, per ridurre alla fame i Romani assediati.
Tuttavia le provviste di grano bastavano appena agli equipaggi delle navi, così una uguale carestia colpì assediati ed assedianti.
Ma i Romani erano pochi, quindi le poche provviste fatte entrare nella rocca da amici fedeli, furono sufficienti a sfamare i soldati di Marco Livio.

Annibale fu costretto a rinunciare al blocco navale.

In quello stesso tempo il console Marcello strappò ai Cartaginesi varie città in Apulia e nel Sannio.
Annibale decise quindi di affrontare Marcello.
Un primo scontro si ebbe a Numistrone (Muro Lucano) con esito incerto.
Visto che non conseguiva i risultati sperati Annibale, temendo la defezione di altre città Apule, ripercorse i propri passi, sempre seguito da Claudio.

Non ci furono vere battaglie, ma continue scaramucce tra l'avanguardia Romana e la retroguardia Cartaginese.
Marcello voleva logorare Annibale, questi cercava di tendere insidie a Marcello.

Marcello Annibale

Le cose erano a questo punto quando tra i due consoli sorse un conflitto.

Il Senato aveva richiamato a Roma Marcello perché convocasse i comizi per l'elezione dei nuovi consoli. Marcello chiese di essere dispensato poiché non poteva allontanarsi da Annibale neppure di un piede.

Comprese le ragioni di Marcello il Senato si rivolse a Levino, ma questi che già in passato aveva mostrato una evidente rivalità verso il collega, che aveva sostituito nel comando in Sicilia, creò tante di quelle difficoltà da costringere Marcello ad andare a Roma, dove per non perdere tempo nominò Quinto Fulvio Flacco dittatore per l'elezione dei consoli. 


Levino

Furono infine eletti consoli Quinto Fabio Massimo per la quinta volta e Quinto Fulvio Flacco per la quarta.

A Fabio fu assegnata la guerra contro Taranto, a Fulvio il Bruttio e la Lucania, a Marcello fu prorogato per una anno il comando in Apulia, a Scipione il comando in Spagna senza limiti di tempo.

Quinto Fabio Massimo Quinto Fulvio Flacco

Fu inoltre disposto che dalla Sicilia fossero mandate nel mare di Taranto al console Fabio trenta quinqueremi.   

 

X – In Lucania, consegnati ai Romani i presidi Cartaginesi, si arresero a Fulvio Flacco varie città.

Tra queste Volcei, che situata su una collina dominante la valle del Tanagro, controlla la strada, nella quale convergono quelle provenienti dal Bruttio e da Taranto, strada che tante volte Annibale aveva percorso poiché conduce a Capua.

Inoltre nel territorio Volceiano, ricco di acque, di olivi, di legname e di ogni specie di animali sono allevate grandi mandrie di cavalli, di buoi e di pecore.

Il territorio Volceiano

Nella sua marcia di avvicinamento a Taranto il console Fabio espugnò Manduria, antichissima città fondata dai Cretesi, intanto chiedeva a Flacco e a Marcello di tenere Annibale lontano da Taranto.

Marcello raggiunse il Cartaginese a Canosa dove avvennero vari scontri con esito incerto, invano i Cartaginesi avanzarono con gli elefanti, che colpiti dai giavellotti e dalle frecce dei Romani, si rivoltarono contro le loro stesse guide.

Molti furono i feriti da entrambe le parti. Annibale decise allora di ritirarsi nel Bruttio, mentre Marcello per i troppi feriti non poté inseguirlo.

Fabio arrivato a Taranto si fortificò davanti al porto.

Sulle navi arrivate dalla Sicilia, comprese quelle da trasporto, fece caricare macchine da guerra per bombardare le mura della città.

Nel presidio Cartaginese che occupava Taranto si trovavano dei Bruttii, costoro per il tramite di un loro conterraneo, con la promessa di un grande premio, furono indotti a tradire i Cartaginesi. Trovato l’accordo con i Bruttii, alla seconda vigilia (tra le nove e mezzanotte) Fabio ordinò ai Romani che si trovavano nella rocca e alle sue truppe che custodivano il campo all’entrata del porto di suonare con grande strepito le trombe, mentre lui si teneva celato ad oriente.

Democrito che comandava le truppe Cartaginesi in quella parte della città, vicino alla quale si trovava Fabio, visto che attorno a lui regnava la calma, accorse con la massima rapidità dove maggiore era il clamore.
Allora, dall’altro lato, con l’aiuto dei Bruttii i Romani scalarono le mura e dilagarono in città facendo un’indiscriminata strage.
Democrito cadde combattendo, Cartalone comandante del presidio Cartaginese fu ucciso da un soldato mentre stava per consegnarsi a Fabio.

Annibale appreso che i Romani stavano assalendo Taranto, partì di gran corsa da Caulonia, ma saputo che la città era caduta, si fermò a Metaponto.

 

XI – A ben vedere con la caduta di Taranto la posizione di Annibale si era fatta disperata.

Pochi erano i sopravvissuti dell’esercito con il quale era sceso in Italia: di Maarbale si erano perse le notizie; Filippo il Macedone, insidiato dagli Etoli e dai Romani, non osava abbandonare le proprie terre; Capua era caduta; dalla Sicilia, saldamente in mano Romana, non poteva attendere aiuti; l’accesso al mare Tirreno gli era precluso; disponeva per i rifornimenti solo dei due piccoli porti di Locri e Crotone e come se non bastasse il senato Cartaginese dirottava verso la Spagna la maggior parte del denaro e delle truppe che riusciva ad arruolare. 

Maarbale Filippo il Macedone

Qualunque altro condottiero, ripiegate le insegne sarebbe tornato in patria.

Non Annibale.

Gli restava un ultima carta da giocare, l’aiuto del fratello Asdrubale.

Scipione accolti nell’alleanza i fratelli Indibile e Mardonio, tra i più potenti re della Spagna, ai quali riconsegnò le rispettive mogli ed i figli che, ostaggi dei Cartaginesi, aveva liberato a Cartagena, a primavera uscì da Tarraco per farsi incontro ad Asdrubale Barca che si era fortificato a Bacula (oggi Santo Tomè in Andalusia).

Fu questa un’astuta mossa del Cartaginese, infatti attirando Scipione nel meridione della Spagna si tenne libere le strade interne che conducono ai Pirenei, per proseguire poi verso l’Italia in soccorso del fratello.
Informati Asdrubale Gisgone e il fratello Magone dei suoi piani, chiese loro di muovere dalle vicinanze di Gades, dove si trovavano, per tenere impegnato Scipione.

Quando fu raggiunto dal condottiero Romano, eluse il combattimento ripiegando sulle vicine alture.
Nel frattempo aveva mandato verso i Pirenei gli elefanti e parte dell’esercito, avvicinandosi Magone ed Asdrubale Gisgone, prese il volo con il denaro necessario per compiere l’impresa.

Fu la volta di Scipione di trovarsi in una situazione critica, se avesse inseguito Asdrubale Barca avrebbe lasciato campo libero ai Cartaginesi, se avesse affrontato Magone ed Asdrubale Gisgone avrebbe lasciato Asdrubale Barca libero di attraversare i Pirenei, pertanto mandata una guarnigione a presidiare i Pirenei, si preparò allo scontro con Asdrubale Gisgone e Magone.

Ma i Cartaginesi raggiunto l’obiettivo prefissato si divisero, Magone consegnato il proprio esercito ad Asdrubale Gisgone si recò nelle Baleari ad assoldare mercenari, mentre Asdrubale Gisgone per sfuggire a Scipione marciò verso l’interno della Lusitania.

 

XII – A Roma venuto a scadenza il consolato di Marcello e Levino, i senatori in preda a viva preoccupazione, per il temuto arrivo di Asdrubale, volevano che al più presto fossero eletti i nuovi consoli, essi giudicavano Gaio Claudio Nerone uomo di grandi qualità, ma troppo imprudente e impetuoso; occorreva affiancarlo con un condottiero saggio e ponderato e per di più, come prescritto dalla legge, plebeo.

Fu fatto il nome di Marco Livio Salinatore, che (nel 221) assieme a Lucio Emilio Paolo aveva vittoriosamente condotto la seconda guerra Illirica, ottenendo con il collega l’onore del trionfo, ma poco tempo dopo accusato, sempre con il collega, di avere trattenuto per se parte del bottino, fu condannato, mentre il patrizio Emilio Paolo, appartenente alla potente gens Emilia fu salvato.

Gaio Claudio Nerone Marco Livio Salinatore

Livio, indignato, lasciò Roma in volontario esilio tenendosi lontano da ogni rapporto umano.

Fu ricondotto a Roma dai consoli, tuttavia ripeteva: “Se era stato giudicato un malfattore perché ora gli offrivano il consolato? 
Non avevano avuto allora pietà ed ora gli offrivano la candida toga!”
Le insistenze del popolo e dei senatori alfine piegarono Marco Livio.
Per iniziativa di Quinto Fabio Massimo si tentò la riconciliazione dei due consoli, divisi da un aspro, quanto antico rancore.
Infine per evitare ulteriori problemi furono destinati agli estremi dell’Italia, a Claudio furono assegnati il Bruttio e la Lucania contro Annibale, a Livio la Gallia contro Asdrubale.

L’imminente arrivo di Asdrubale incuteva nei Romani una sempre maggiore preoccupazione, tanto più che i Massalioti, annunciarono che aveva attraversato il fiume Rodano, risvegliando nei Galli grandi speranze, poiché si diceva che portasse con se molto oro per ingaggiare mercenari.

Entro la primavera successiva si prevedeva che avrebbe varcato le Alpi per scendere nella Cisalpina e congiungersi con gli Insubri.

Considerato l’estremo pericolo il Senato stabilì che ad ogni costo si dovesse impedire ad Asdrubale di invadere l’Etruria, che peraltro, a causa delle continue devastazioni subite, era in preda ad una pericolosa agitazione.

Alla sua difesa fu destinato Gaio Terenzio Varrone con due legioni.


Gaio Terenzio Varrone

Poiché Livio nutriva scarsa  fiducia nelle sue due legioni, formate per lo più da reclute, mentre Claudio Nerone disponeva di un ottimo esercito consolare, all’occorrenza rinforzato dalla legione che il pretore Quinto Claudio teneva presso Taranto, chiese al Senato l’autorizzazione di richiamare in servizio i veterani.
Il Senato diede ad entrambi i consoli pieni poteri.

Scipione, avendo saputo che Livio, per rinforzare il proprio esercito, intendeva arruolare veterani, ci interpellò, chiedendo chi fosse pronto ad andare volontario in soccorso della patria. Con i volontari furono formate tre coorti di fanti (1200 uomini circa).
Scipione mi concesse l’insperato onore di comandare il contingente quale suo legato (cioè delegato ad personam).
Ai fanti Scipione aggiunse cinquecento cavalieri Numidi.

Contribuì ad aumentare il panico una lettera del pretore Lucio Porcio, secondo la quale Asdrubale si apprestava a passare le Alpi, avendo nel frattempo ingaggiato ottomila Liguri.
Come spesso avviene in questi casi, comandanti inesperti, esagerando l’entità dei pericoli generano soltanto confusione. 

Viceversa Marco Livio, partito per la Cisalpina e raggiunto dai veterani, non si fece turbare da notizie incontrollate: interpellato Gaio Terenzio, che per la sua esperienza considerava di gran lunga il più affidabile, si diresse verso le gole del fiume Metauro (più precisamente le gole del Furlo, affluente del Metauro), circa quaranta miglia (60 Km) a meridione di Rimini, confidando che Gaio Terenzio, presidiando con somma cura i passi appenninici, avrebbe impedito ad Asdrubale il passaggio in Etruria.


Gole del fiume Metauro

Come noi, che avevamo militato sotto al suo comando ben sapevamo, Varrone considerava sacra la vita del legionario, prestava dunque ogni attenzione perché nulla fosse trascurato a vantaggio del nemico.

 

XIII – Asdrubale intanto, mano a mano che si avvicinava alle Alpi, incrementava le proprie forze ingaggiando tra i Galli Transalpini fanti e cavalieri.


Guerrieri Galli

All’inizio della primavera era pronto ad attraversare la Alpi, seguendo il percorso tracciato dal fratello dieci anni prima. Gli Alpigiani, che si erano opposti al passaggio di Annibale, avendo compreso che i Cartaginesi null’altro volevano se non attraversare i valichi delle montagne per scendere nella Cisalpina, riccamente remunerati, fornirono guide.

I Taurini si ritirarono nelle valli più interne del loro territorio, mentre gli Insubri accolsero festanti il Cartaginese.
Pensavano costoro che se il solo Annibale aveva inflitto pesantissime sconfitte ai Romani, ora uniti i due eserciti i Cartaginesi avrebbero annientato la potenza di Roma.

Asdrubale informato che i passi Appenninici erano fortissimamente presidiati da Gaio Terenzio Varrone, proseguì la sua marcia procedendo lungo il fiume Po.

E qui il Cartaginese commise un grave errore, infatti arrivato nei pressi di Placentia, invece di proseguire per raggiungere al più presto il fratello, forse mal consigliato dai mercenari Galli, che speravano in un largo bottino, si volse all’attacco della colonia Romana, che per essere in pianura poteva sembrare una facile preda.
Ma le forti mura della città erano difese da valorosissimi veterani.
Trascorsi vanamente dieci giorni Asdrubale levò l’assedio procedendo verso le terre dei Galli Boi.

Il ritardo favorì Marco Livio, che attestato nelle gole del Metauro, in pari tempo organizzava il proprio esercito e preparava insidie.
Il console contando soprattutto sull’esperienza dei veterani, per addestrare il resto delle truppe, nominò, equiparati a tribuni militari, cinque legati, ognuno dei quali aveva il comando di tre coorti di volontari.
Io fui confermato al comando dei volontari “Spagnoli”.

Ad ogni legato furono consegnate le insegne.
Scelti gli antesignani, ogni legato guidava l’allineamento dei volontari, seguiti da dieci coorti dell’esercito regolare.
Ogni giorno procedemmo all’addestramento dei meno esperti.

Quando le manovre cominciarono a svolgersi ordinatamente, Livio ordinò un nuovo allineamento, divise la fanteria in sessantacinque coorti, quindici delle quali costituivano la riserva.

Ad ogni coorte fu assegnata la propria insegna, i tribuni designarono nuovamente gli antesignani, scegliendoli tra i volontari, dietro agli antesignani in ogni manipolo erano mescolati volontari e regolari, seguivano nella retroguardia gli arcieri e i frombolieri.


Frombolieri

Ricominciammo l’addestramento fino a quando Livio non fu soddisfatto, allora ci condusse in quello che riteneva sarebbe stato il campo di battaglia.

Scoprimmo quanto ripide fossero le gole del Metauro e come ben si prestassero ad ogni tipo d’insidia.
Arcieri e frombolieri impararono a conoscere i luoghi dove la loro opera sarebbe stata esiziale per il nemico.

Tutte queste manovre condotte sotto gli occhi del console, rafforzarono la fiducia di tutti, volontari e regolari.

 

XIV - In Apulia Annibale uscito dai quartieri invernali marciò all’attacco di Grumentum (oggi Grumento Nova in Lucania), con l’intenzione di riconquistare quella importante città da poco passata ai Romani.

Il console Claudio Nerone postosi sulle tracce di Annibale lasciò Venusiam per andare in soccorso di Grumentum.

Annibale venuta meno la sorpresa evitò il combattimento, non volendo, in attesa del fratello, sprecare energie e uomini in una battaglia per lui secondaria.

Da Grumentum mosse verso Metaponto dove il comandante della guarnigione Cartaginese gli consegnò le sue truppe, per andare nel Bruttio ad arruolare un nuovo esercito.

Lasciata Metaponto Annibale andò verso Canusium.
Gaio Claudio sempre seguendo il Cartaginese, chiese a Quinto Fulvio Flacco di recarsi in Lucania, per non lasciare indifesa quella regione, mentre con le sue truppe tornò a Venusiam. Avendo compreso che Annibale non intendeva combattere il console ardeva d’impazienza, quando apprese da disertori che Asdrubale sarebbe sceso incontro al fratello passando per il Metauro.

Allora, dando ragione a quanti lo giudicavano più impetuoso che avveduto, concepì il disegno, non sollecitato da Livio, di andare in suo aiuto, con seimila fanti scelti e mille cavalieri, lasciando il comando del suo esercito al legato Quinto Catio.

Più tardi Quinto Fabio Massimo in Senato censurò aspramente questa decisione, con la quale il console abbandonava il proprio esercito sfidando la sorte.

Che sarebbe avvenuto se Annibale avesse attaccato un esercito privo del comandante?

Quando Livio seppe del prossimo arrivo di Claudio celò le proprie preoccupazioni, infatti doveva trovare il modo di impiegare il nuovo venuto senza che questi con il suo intempestivo arrivo scompaginasse i suoi piani.

Asdrubale intanto, nell'intento di recuperare il tempo perduto nel vano assedio di Placentia, avanzava a marce forzate verso l'antico territorio dei Galli Senoni.


Asdrubale Barca

Giunto non lontano da Rimini, fortemente presidiata dai nostri coloni, si addentrò all'interno tra strette colline arrivando all'imbocco delle gole del Metauro. 

 

XV – In pari tempo Claudio Nerone, lasciata Venusia, avanzando al massimo delle sue possibilità, raggiunse Livio.
Al primo imbrunire, entrò segretamente nel nostro accampamento, dove i suoi soldati furono accolti nelle nostre tende.
I nemici avuto sentore di qualche movimento, mandarono esploratori a vedere cosa accadesse dalle nostre parti, ma, osservato che nulla era cambiato, riferirono ad Asdrubale che non c'erano novità.

Da noi, appena arrivato Claudio, fu convocato il consiglio di guerra.
Per le vive insistenze dello stesso Claudio, che non poteva lasciare troppo a lungo il proprio esercito in Apulia, senza che Annibale venisse a conoscenza della sua assenza e per le esigenze della guerra, su proposta di Livio fu deciso di attaccare il nemico il giorno seguente.

Livio infatti non voleva che Asdrubale avesse il tempo di familiarizzarsi con questi impervi luoghi, inoltre pensava che i nemici fossero stanchi per la rapida avanzata, che in pochi giorni li aveva portati dalle mura di Placentia al Metauro.
In campo avverso anche Asdrubale intendeva combattere al più presto, allo scopo aveva posto il suo campo a circa due miglia dal nostro.

Ma la mattina fu colto da un ragionevole sospetto, infatti nell'accampamento di Livio la tromba che chiamava a raccolta i soldati aveva suonato due volte, come se due fossero gli eserciti, due i comandanti.
Ciò poteva significare che l'altro console si era ricongiunto con Livio.

Asdrubale angosciato dal timore che il fratello fosse stato sconfitto da Claudio differì la battaglia.
Inoltre presa visione del luogo si accorse che in quelle strette gole, né la sua numerosissima cavalleria, né gli elefanti, potevano avanzare senza cadere sotto i nostri proiettili.

Temendo di essere caduto in una trappola, la notte alla prima vigilia (tra le  diciotto e le ventuno), abbandonato il campo, iniziò la ritirata. Ma nel buio della notte le guide, colte dal panico, fuggirono.
I Cartaginesi mentre erravano senza meta erano tormentati dal pretore Lucio Porcio Licinio che, fatto avanzare da Livio, ora impediva loro il passaggio nelle strette gole, ora li attaccava ai fianchi, facendosi gioco dello sterminato esercito nemico.

Asdrubale, compreso che vagare nelle tenebre era inutilmente faticoso, si accampò alla meglio sulle rive del Metauro, sperando con la luce del giorno di trovare un comodo guado.
Ma intanto secondo i piani di Livio, Claudio con la cavalleria, percorrendo gli angusti sentieri indicati dalle guide, si era portato alla sue spalle, impedendogli la ritirata verso il mare.

Al nuovo giorno, l'esercito di Asdrubale, sfiancato dalla marcia notturna e dai continui attacchi di Licinio, cominciò a sbandarsi.

I mercenari Galli, indisciplinati secondo il loro costume, intendevano riposare, invano Asdrubale li ammonì circa l'imminente pericolo, i Galli volevano riposare e non fu possibile smuoverli.
Asdrubale allora occupata con la fanteria pesante una collina, si apprestò alla battaglia.

Fu quello il momento tanto atteso, al comando di Livio, avanzammo in forze, mentre i nostri arcieri e i frombolieri dall'alto bersagliavano i Cartaginesi.
Quando il nemico cominciò a cedere, Livio ordinò l’attacco.
Asdrubale si oppose facendo avanzare gli elefanti, dietro ai quali seguivano gli Spagnoli ed i Liguri, ma Claudio, fattosi sotto, prese alle spalle i nemici.

Gli elefanti colpiti da innumerevoli frecce, si volsero fuggendo verso il proprio accampamento
Pima di travolgere ogni cosa furono uccisi dai loro stessi conducenti.
Noi andammo all’assalto, al primo scontro di scudi rovesciammo il nemico.

Da quel momento non fu più battaglia, fu strage.

I Galli sfiancati, abbandonate le insegne, a stento reggevano le armi sulle spalle.
Di loro la maggior parte fu presa prigioniera, gli altri furono uccisi.

Asdrubale circondato da ogni parte, vista la fine di ogni speranza, spronato il cavallo si lanciò contro i nostri cercando la morte.

Si narra che Claudio Nerone si sia fatto consegnare il capo del condottiero Cartaginese, che conservato con cura, fece portare ad Annibale.

 

XVI – A Roma il Popolo attendeva con ansia notizie.

Saputo che alcuni cavalieri partiti dal Metauro stavano arrivando nel Foro, una gran turba si fece loro incontro costringendoli a leggere dai rostri (le tribune del Foro) prima ancora che in Senato, il messaggio che recavano.
Tra tripudio e incredulità si attendeva da Marco Livio la conferma della vittoria.
Appreso che i messi di Livio stavano arrivando, ciascuno comprese che il messaggio letto dai cavalieri era veritiero.
I messi entrati a fatica in Senato lessero il conciso messaggio di Livio.

Il nemico era stato sconfitto, l’esercito di Asdrubale era stato annientato, Asdrubale era morto.
I messaggeri di Livio, passati poi nell’assemblea popolare, per bocca di Lucio Veturio esposero tutti i particolari degli avvenimenti, salutati da un boato di gioia.

La folla si disperse, chi correndo ai templi a ringraziare gli Dei, chi correndo a casa per dividere la felicità con la famiglia.
Il Senato deliberò che si facessero per tre giorni cerimonie di ringraziamento.

Il Senato decretò che, quando lo riteneva opportuno nell’interesse della Repubblica, Marco Livio Salinatore venisse a Roma con il suo esercito per celebrare il trionfo.
A Claudio Nerone fu concesso di accompagnare a cavallo Livio.

Fu in tale occasione che Quinto Fabio Massimo rimproverò Claudio Nerone di avere anteposto la sua personale ambizione al bene della Patria.

Si narra che Annibale percosso da immenso lutto, abbia detto che vedeva in quanto accaduto  la rovina di Cartagine.

Di seguito concentrò nel Bruttio tutte quelle milizie che erano disperse in Apulia e Lucania.

 

 

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