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DAL FRONTE GERMANICO

I
In tutto questo tempo gli Iazigi furono sorprendentemente inerti, difatti da un popolo così bellicoso c’era da attendersi qualche insidia, ma, come si seppe poi, era sorto un conflitto tra loro e Decebalo re dei Daci.

Gli Iazigi reclamavano la ricompensa che Decebalo aveva promesso per il loro aiuto nella precedente guerra contro i Romani, ma Decebalo dichiarava che null’altro avevano a pretendere oltre a ciò che già avevano avuto.
Si insinuò allora tra gli Iazigi il seme del sospetto, chi aveva ricevuto la ricompensa di cui parlava Decebalo? O questo era soltanto un fraudolento inganno del re dei Daci? Fu così che gli Iazigi si divisero al loro interno in due partiti e senza pensare più ai Romani si consumarono in liti senza fine.

Allora i Quadi, che già diffidavano degli Iazigi, si rivolsero ai loro fratelli Marcomanni, ma questi vedevano di là del fiume schierate le forze Romane e pronta la flotta pannonica. I Marcomanni non volevano mancare al loro legame di sangue con i Quadi, allo stesso tempo il timore dei Romani li attanagliava. Chiesero dunque tempo e promisero di inviare aiuti appena possibile.  

Traiano intanto con la sua linea fortificata stringeva i Quadi come in una morsa.
Al di quà della linea Romana si trovavano pascoli fiorenti, al di là la nostra cavalleria continuava a bruciare ogni cosa. Quando ormai il bestiame dei barbari cominciò a soffrire la fame, i Quadi furono costretti a tentare la sorte. Prepararono dunque ingenti forze per venire all’attacco del nostro primo campo e spezzare così la linea Romana.

I loro movimenti non sfuggirono ai nostri esploratori. Traiano convocato il consiglio di guerra decise di spostare una vexillatio dal suo campo al secondo campo e contemporaneamente ordinò che da questa partisse per il primo campo un'altra vexillatio. Frattanto da Carnuntum e da Brigetio aveva fatto arrivare ai due campi altre macchine da guerra.

 

II
I Quadi avanzarono verso il primo campo con la cavalleria leggera e con i catafratti, in tutto ventimila uomini.

Le nostre forze assommavano a 4.000 legionari e altrettanti ausiliari. Per evitare i proiettili delle nostre macchine da guerra i barbari avevano escogitato una nuova tattica.
La cavalleria leggera fu divisa in piccole squadre che correvano a grande velocità intorno al nostro campo fin dove potevano, poiché un fiume proteggeva il lato della nostra fortezza esposto a meridione, in questa grande corsa scagliavano contro i nostri frecce incendiarie, mentre i catafratti stavano al coperto.
Fintanto che i barbari si muovevano a piccoli gruppi con tanta rapidità le nostre macchine da guerra servivano a ben poco e intanto molte delle nostre tende andavano a fuoco.

Tuttavia secondo gli ordini dei centurioni nessuno abbandonò gli spalti, i nemici si sarebbero dovuti avvicinare e concentrare se volevano prendere l’accampamento e fino a quando avrebbero potuto correre così all’impazzata? Ma ecco che si vide una nuova insidia, tutti i cavalieri avevano portato due cavalli e quando una bestia era sfiancata salivano sull’altra.
Le ore passavano e tra i nostri si cominciavano a contare numerosi feriti, i legionari gridavano che volevano uscire e affrontare i barbari, non di meno il legato Gaio Flacco Teboniano fece restare ciascuno al proprio posto, ma come nella guerra è spesso il caso a determinare il corso degli avvenimenti, ecco che le frecce incendiarie diedero alle fiamme il pretorio, si alzò un altissimo fumo, i barbari alzarono alte grida di gioia.

Allora Teboniano, per indurre all’attacco i nemici, ordinò ai centurioni di fare arretrare i legionari, come se fossero stati chiamati a spegnere le fiamme e intanto fece preparare tutti gli scorpioni. I Quadi visti gli spalti svuotati, come non aspettassero altro, lanciarono il grido di guerra e vennero all’attacco con tutti i catafratti, ma avevano appena messo piede nel fossato che furono investiti da una pioggia di frecce e proiettili lanciati dagli scorpioni.
Furono i nostri allora a lanciare il grido di guerra, ma i nemici erano ancora troppi e Teboniano tenne chiuse le porte dell’accampamento.

Molti i morti, molti i feriti, i cavalli si torcevano nell’agonia, i barbari si ritirarono, ma non abbandonarono il campo di battaglia.
Anche tra i nostri molti erano i feriti e tra i morti si contarono anche quattro centurioni. Si stabilì una tregua per soccorrere i feriti, intanto calava la notte.

 

III
Teboniano disperando di poter sostenere un persistente assedio, e si aveva notizia che altri barbari fossero in arrivo, fece uscire due cavalieri forti e veloci perché si recassero presso Decimo Terenzio Scauriano che comandava il secondo campo e da qui si informasse Traiano e si attendesse la sua risposta.

I due cavalieri approfittando della notte elusero i barbari, arrivati nel secondo campo, cambiati i cavalli, accompagnati da altri cavalieri, partirono alla volta del campo dove si trovava Traiano.
Marco Ulpio, informato dei fatti, volle accertarsi di come i barbari conducevano l’assedio. Saputo che tenevano di riserva i catafratti, per farli entrare in azione solo quando i nostri fossero sfiniti dalla fatica e dalle ferite, consigliatosi con Sura decise di partire nel più breve tempo verso il secondo campo, con la cavalleria e i frombolieri, ordinò ai messaggeri di tornare nel secondo campo e scrisse a Scauriano di preparare tutte le carrobaliste che aveva e di attendere il suo arrivo. Quando Traiano raggiunse il secondo campo era ormai giorno inoltrato.

I Quadi, curati i feriti, mentre intanto sopraggiungevano altri cavalieri, ripresero l’assedio. Teboniano non sapeva cosa avesse deciso Traiano, comunque ordinò ai legionari di stare sugli spalti, difesi il più possibile dagli scudi, nelle posizioni più esposte dovevano recarsi solo i legionari che indossavano la lorica segmentata, che meglio protegge dalle frecce.
Visto che la cavalleria leggera nemica mirava unicamente a sfiancare ed a ferire i nostri con un continuo lancio di frecce incendiarie, senza farsi sotto all’accampamento e senza scendere nel fossato, Teboniano ordinò di stare il più possibile al coperto, pensava così di guadagnare tempo e contava sull’aiuto di Traiano.

Marco Ulpio intanto, mentre si avvicinava al secondo campo mandò gli esploratori a scoprire dove stesse nascosta la cavalleria catafratta. Era tuttavia impossibile procedere in pieno giorno verso il primo campo senza essere scoperti dal nemico e vista la superiorità della cavlleria dei Quadi, bisognava evitare di essere attaccati in campo aperto. Pertanto Traiano fermò la sua colonna nel secondo campo e mandò a Teboniano due cavalieri perché lo informassero che il mattino seguente sarebbe arrivato, resistesse dunque perché il suo aiuto era imminente. Ai due cavalieri fu consigliato di attraversare il fiume ed entrare da meridione nell’accampamento, per sfuggire ai barbari.

 

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