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ESTATE DEL 96

I
Disperando di poter resistere ai Romani, gli Suebi mandarono una ambasceria a Lutargo per chiedere l’aiuto degli Iazigi, promettendo in caso di vittoria di lasciar loro tutto il bottino di guerra.

Lutargo come sappiamo non aveva intenzione di prendere le armi contro Traiano, ma eccitati dalla promessa del bottino di guerra, che gli ambasciatori degli Suebi ingigantivano oltre misura, gli Iazigi da quella massa di incorreggibili predoni che essi sono, chiedevano a Lutargo di rompere gli indugi e muovere guerra.
Invano Lutargo tentò di resistere, infine per salvare la sua stessa vita dovette riparare presso i Roxolani, accolto dal loro re Susago, che come altrove detto era suo parente. 

Gli Iazigi, cacciato Lutargo, non riuscirono ad accordarsi per nominare un nuovo re, ciò non di meno la gran parte delle tribù, avida di preda, senza alcuna preparazione, partì alla volta dei Romani.
Teboniano informato dei fatti dai familiari di Lutargo, mise in allerta le truppe e intensificò il pattugliamento del territorio affidato alle sue cure.
Gli ausiliari della cavalleria Germanica, Batavi e Tencteri, uomini coraggiosissimi, non aspettavano altro che mostrare il proprio valore in battaglia, massimamente contro gli Iazigi che, come tutti i Sarmati, disprezzavano profondamente.
Gli Iazigi avendo prestato fede alle parole degli ambasciatori Suebi, credevano che i Romani stessero chiusi nei castelli e nella loro fortezza, avanzavano dunque con grande rapidità, quasi temessero di perdere la preda, penetrando nel territorio presidiato dai Romani con l’intenzione di fare razzie.

Teboniano ordinò alla cavalleria Germanica di lasciare che essi si addentrassero e catturassero gli armenti che, quali esche, erano stati lasciati bradi, nel frattempo i Romani e la cavalleria ausiliaria dovevano occupare i varchi attraverso i quali gli Iazigi, festanti e impacciati dalla preda, dovevano rientrare nelle proprie terre.
Avvenne così che sulla via del ritorno i barbari furono intercettati dai nostri, mentre procedevano come una carovana di mercanti, piuttosto che come un esercito.
Per gli Iazigi l’unica via di salvezza fu la fuga.

Sul campo lasciarono tutta la preda che ritenevano di avere conquistato, numerosi furono i feriti, oltre 1.000 i prigionieri.

 

II
Respinte in poco tempo e senza perdite le incursioni degli Iazigi, Teboniano informò Traiano che il fronte orientale era tornato calmo.

Gli Suebi venuti a conoscenza della sconfitta degli Iazigi non sapevano più come procedere.
Tra i Marcomanni e i Quadi le tribù fedeli ai parenti di Vangio e Sidone, antichi alleati dei Romani, premevano perchè fosse inviata una ambasceria a Traiano per trattare la pace.
Informato di tutto da alcuni disertori Traiano ordinò a Liviano di avanzare ancor più all’interno delle terre dei Marcomanni e fortificarsi in un luogo sicuro, mentre lui stesso era tornato nel campo principale.
Delusa ogni speranza, assediati dai Romani, Marcomanni e Quadi stabilirono di chiedere la pace.

Fu dunque inviata a Traiano una ambasceria comandata da Vannione, figlio di Vangio e nipote di Sidone.
Traiano ricevette benignamente Vannione, sapendo che aveva diffidato i Marcomanni dal prendere le armi contro i Romani e lodò la decisione di trattare la pace, ma per mettere alla prova la loro effettiva volontà, impose che gli venissero consegnati cento ostaggi, scelti tra le famiglie più nobili.
Ricevuti gli ostaggi, si negoziarono le condizioni di pace.

I Romani avrebbero restituito agli Suebi tutti i prigionieri, ma non i cavalli e gli armenti. Gli Suebi si dovevano impegnare a non attaccare i Cotini, amici del popolo Romano e dovevano fornire i Numera per presidiare, al comando dei Romani, i castelli che Traiano aveva fatto erigere ai confini con le terre degli Iazigi.
Traiano avrebbe conservato nelle terre dei Marcomanni la fortezza dove si era fermato Liviano quando aveva attraversato il Danubio e nella terra dei Quadi la fortezza prossima alle terre dei Cotini e le fortificazioni sul Danubio vicine a Brigetio.
Per tutto il resto restituiva ai Quadi e ai Marcomanni tutte le loro terre.
Queste le condizioni poste da Traiano, che tuttavia dovevano essere approvate da Domiziano.
Attendessero dunque fiduciosi le decisioni dell’Imperatore e l’armonia sarebbe tornata a regnare tra il Popolo Romano e gli Suebi.   

I Marcomanni e i Quadi attendevano con trepidazione di conoscere quali fossero le condizioni di Traiano per arrivare alla pace, quando vennero a conoscenza dei fatti andarono incontro a Vannione accogliendolo come un trionfatore e con quella impulsività tipica della loro razza lo elessero re.
Per ottenere l’approvazione di Domiziano e per fare all’imperatore un dettagliato rapporto, Traiano inviò a Roma Lucio Licinio Sura.
Gli ostaggi furono mandati a Ravenna, dove era stato accolto anni prima Vannio re dei Marcomanni, alleato dei Romani, padre di Vangio e Sidone, quando sconfitto dai Catti dovette lasciare il regno. 

L’intenzione di Traiano era quella di educare alla Romana gli ostaggi, giovani provenienti dalle più nobili famiglie degli Suebi, per poi restituirli alla loro terra, nella speranza che l’educazione ricevuta e la conoscenza della potenza del Popolo Romano li inducesse ad essere alleati convinti e fedeli.

 

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