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DALLA PRIMAVERA ALL’ESTATE DEL 96

I
Alla fine di Marzo Traiano partì con le sue truppe diretto verso il territorio dei Marcomanni.
In due giornate percorse 50 miglia, posto il suo accampamento all'interno dei loro campi, come già aveva fatto con i Quadi mise a fuoco tutti i loro pascoli e si fermò attendendo la loro reazione.

I Marcomanni si aspettavano l'attacco di Traiano, ma pensavano che sarebbe partito da Carnuntum e sull'altro lato del Danubio avevano schierato le loro forze.
Essi pensavano di unire le forze con quelle dei Quadi che come sappiamo disponevano ancora di 4.000 cavalieri catafratti, e un numero imprecisato di arcieri, ma scarseggiavano di cavalli.

Il loro piano era quello di creare un armata alla quale essi avrebbero fornito la cavalleria leggera e la fanteria e assieme alla cavalleria pesante ed agli arcieri dei Quadi, avrebbero messo in campo oltre 40.000 combattenti, con i quali attaccare i Romani.
Nel frattempo inviarono messi a Lutargo invitandolo a impegnare i Romani da Est, mentre loro li avrebbero attaccati da Ovest.

Ma Lutargo si mostrò reticente, visto che non era chiaro quale vantaggio sarebbe venuto agli Iazigi, mentre erano chiari i rischi.
In questo intervallo di tempo la cavalleria ausiliaria dei Romani al comando di Lusio Quieto dava alle fiamme tutti i pascoli che trovava, spingendosi fino al confine delle foreste.

A queste azioni poco potevano opporre i Quadi che come detto disponevano soltanto della cavalleria pesante, troppo lenta per opporsi alle incursioni dei Numidi di Lusio Quieto.
Al tempo stesso le popolazioni, arsi i campi, perdute le biade, ripararono all'interno delle foreste con tutti i loro armenti e con il timore che la mancanza di pasture li avrebbe costretti a cercare riparo sempre più all'interno, alla ricerca di quei pascoli che celati dalle foreste potessero sfamare le bestie.

Le varie tribù inviarono dunque ai capi degli armati che stazionavano di fronte a Carnuntum una pressante richiesta perchè intervenissero in loro difesa e non li lasciassero in balia dei Romani.
Era ciò che voleva Traiano, infatti lasciato un piccolo presidio i Marcomanni partirono da Carnuntum e mossero verso l'interno per ricongiungersi con i Quadi e contrattaccare Traiano .

Non appena fu chiaro che il grosso delle truppe si era allontanato, Tiberio Claudio Liviano, fatta concentrare a Carnuntum la flotta Pannonica, imbarcò su di essa due legioni, due vessillazioni, le alae quingenarie della cavalleria numidica che Lusio Quieto aveva lasciato a Carnuntum, gli ausiliari e di notte attraversò il Danubio, forte di oltre 20.000 uomini.

 

II
Con questa mossa Traiano aveva preso i Marcomanni entro una morsa ad Ovest Liviano li insidiava con le sue truppe ad Est era già penetrato lui stesso.
Peraltro come abbiamo detto il suo obiettivo non era quello di annientare i Marcomanni, ma quello di costringerli alla resa e tornare alleati di Roma.

Per tale ragione quando Liviano attraversò il Danubio quattro giorni dopo che il grosso dei Marcomanni si era allontanato, circondato e costretto alla resa il piccolo presidio che i Marcomanni avevano lasciato, per due giorni procedette nelle terre dei barbari e costruito un munitissimo accampamento fortificato, si fermò.

I campi che aveva attraversato, che come sempre i barbari coltivano a pascolo, non furono devastati, mentre la cavalleria Numidica faceva incursioni nelle terre che si stendevano oltre l'accampamento verso l'interno delle terre dei Marcomanni, dando alle fiamme tutto ciò che trovava.
I Marcomanni furono così obbligati a dividere le forze, una parte del loro esercito tornò indietro per affrontare Liviano, l'altra parte si ricongiunse ai Quadi per opporsi a Traiano.

L'ordine di Traiano era quello di non accettare lo scontro in campo aperto, ma di provocare il nemico per indurlo ad attaccare le fortificazioni, nelle quali erano concentrate le macchine da guerra.
Marco Ulpio ben sapeva che i barbari non sono preparati per sostenere una lunga guerra, intendeva dunque logorarli per costringerli alla battaglia nelle condizioni per loro peggiori e come detto costringerli alla resa.

I barbari temendo Traiano non contrattaccarono sul fronte orientale, si limitarono a sbarrare con tronchi e rami l'ingresso delle foreste per impedire ai Romani di penetrare più a fondo e poiché in questo terreno i catafratti Quadi erano del tutto inutili, questi si unirono al contingente che si era mosso per attaccare Liviano.
Traiano intanto per tenere impegnate le forze nemiche, continuava a devastare il territorio dei Marcomanni, dando alle fiamme anche le propaggini delle foreste.

Il contingente che mosse contro Liviano era forte di circa 30.000 uomini, che si apprestarono ad assediare la fortezza Romana.
I Quadi che avevano sperimentato quanto fosse ardua una tale impresa invano tentarono di dissuadere i Marcomanni dall'agire in modo così imprudente, ma questi, forti del loro numero e convinti del proprio valore, non diedero loro ascolto.
Era convinzione dei Marcomanni che i Quadi fossero stati sconfitti per la debolezza della loro fanteria, mentre essi disponevano di forze bene addestrate nel combattimento a terra.

D'altro canto non pensarono che fosse opportuno aggirare il campo Romano e dirigersi verso Carnuntum perché in tal caso si sarebbero ritrovati con i Romani alle spalle.
L'unica alternativa era la conquista della fortezza di Liviano, a Traiano avrebbero pensato poi.
La fortezza eretta da Liviano sorgeva in prossimità di un fiume che la proteggeva verso meridione, attorno al resto del campo i Romani scavarono un fossato largo 5 metri e profondo 2, deviando il fiume il fossato fu colmato di acque, oltre al fossato furono messe in opera diverse insidie, come pali acuminati fissati nel terreno e nascosti da fascine.

Quindi avvicinarsi al fossato sarebbe stato estremamente arduo. Il vallo, alto 3 metri, era arretrato di circa dieci metri rispetto al fossato e a sua protezione furono erette 20 torri, nelle quali in posizione elevata furono posizionate le macchine da guerra.

Grazie a tutte queste opere i temibili arcieri nemici non si sarebbero potuti avvicinare a meno di 50 metri dal vallo se non con grande pericolo.
I Romani lavorando giorno e notte completarono le opere in 5 giorni.

 

III
I Marcomanni assieme ai Quadi giunti in prossimità della fortezza Romana, si accamparono a circa 2 miglia dai nostri.
Secondo il loro costume non eressero fortificazioni, ma si limitarono a disporre attorno alle loro tende una barriera di carri, mentre i cavalli, nel numero di circa diecimila e i cavalieri si allocarono in vari accampamenti, posti alle spalle del nucleo principale, circondati da semplici staccionate.

Il giorno seguente iniziarono le manovre per attaccare il nostro campo.
Per prima cosa si mossero piccole squadre di cavalleria leggera accompagnati da arcieri appiedati, lo scopo era quello di verificare se le nostre fortificazioni offrissero qualche punto debole.
Non avendone trovati decisero di ritirarsi, ma proprio allora i nostri misero in azione le macchine da guerra, così mentre giravano le spalle furono investiti da frecce e proiettili.

Questo primo scontro si risolse con pochi feriti, tuttavia ammonì i barbari di quanto grande fosse il rischio di avvicinarsi al nostro campo, inoltre essendo rimasti a ragguardevole distanza non avevano scoperto le insidie nascoste nel terreno.
Come sappiamo i Germani non conoscono l'arte dell'assedio, tuttavia essi pensavano che i nostri presto avrebbero esaurito le vettovaglie e sarebbero stati costretti a venire a battaglia. Ma Liviano aveva provvisto largamente ed era in grado di reggere a un lungo assedio.

Passarono così i giorni con piccole scaramucce e mentre la viglianza dei Marcomanni si faceva sempre più svogliata, essi per primi si trovarono nella necessità di dover provvedere alle pasture dei loro 10.000 cavalli, giacchè Liviano aveva dato alle fiamme tutti i campi circostanti. Pertanto carri e cavalli vennnero allontanati all'interno del territorio alla ricerca di biade e di vettovaglie.

Approfittando del disordine che si era creato tra i nemici, Liviano fece arrivare da Carnuntum ulteriori rifornimenti, soprattutto biade per i 1.000 cavalli dei Numidi.
Ricostituite le proprie scorte i barbari ripresero l'assedio.
In questo intervallo di tempo Traiano continuava con la sua opera di logoramento, tenendo continuamente impegnati i nemici che non osavano uscire dalle foreste dalle quali si sentivano protetti.

L'assedio al campo di Liviano continuava senza che accadesse nulla di notevole, ma gli Suebi che pensano di essere i più valorosi di tutti i guerrieri, ritenevano insopportabile questo stato di cose e quasi a forza indussero i loro capi ad attaccare Liviano.
Misero dunque in campo la cavalleria leggera che incominciò ad avanzare lentamente accerchiando la fortezza, quando si trovarono a distanza sufficiente cominciò il lancio delle frecce incendiarie.
I nostri risposero blandamente per non sprecare proiettili.
All'improvviso si aprì un varco e da esso irruppero i catafratti seguiti dalla fanteria, ma quando si trovarono non lontano dal fossato caddero nelle insidie che i legionari avevano preparato.

A questo punto le nostre macchine da guerra entrarono in azione e per i barbari fu una catastrofe, infatti i catafratti lanciati i cavalli non riuscirono a fermarne la corsa e mentre cadevano infilzati dai pali acuminati nascosti nel terreno su di loro precipitava una pioggia di frecce e di proiettili.
I fanti si ritirarono, ma anche tra loro molti furono i feriti, la cavalleria leggera scoperte le insidie si ritirò anch'essa.

Un cupo silenzio invase il campo dei Marcomanni.
Traiano informato dell'accaduto, visto che sul suo fronte i barbari non si muovevano dalle foreste, decise di partire dal campo alla volta di Liviano con due legioni, due alae quingenarie di Numidi, arcieri e 60 carrobaliste.

 

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