RESA DEI QUADI
I
Tutti questi avvenimenti si risolsero a vantaggio di Traiano, che almeno per il momento, non doveva preoccuparsi degli Iazigi.
Come sempre succede circolarono voci maligne, secondo le quali Traiano avrebbe persuaso Lutargo ad agire nel modo che sappiamo inviandogli ricchi doni.
Comunque siano andate le cose Traiano non volle sguarnire del tutto il IV campo, dal quale trasse solo una vexillatio che lo raggiunse nel III campo, portando con se circa 1200 cavalli, presi tra quelli che erano stati catturati ai barbari nei precedenti combattimenti.
Era ormai estate piena quando Traiano cominciò a preparare la battaglia decisiva contro i Quadi.
Questi si erano ritirati nel nord del proprio paese, ma, visto che i Romani avevano dato alle fiamme gran parte dei pascoli, cavalli e armenti cominciarono a patire la fame, quindi i barbari si videro costretti a scegliere tra due opzioni: o attaccare i Romani, o abbandonare le proprie terre e ricongiungersi con i Marcomanni. Quest’ultima ipotesi fu subito fatta cadere visto che i giovani si misero a gridare che avrebbero abbandonato i propri capi se si fossero risolti per la fuga vergognosa.
Raccolsero dunque tutte le loro forze che assommavano a circa 30.000 uomini, dei quali 4.000 erano catafratti, il rimanente era costituito da guerrieri che all’occorrenza combattevano a cavallo o a terra e che manovravano l’arco con grande abilità, ma le battaglie precedenti e la stessa carestia avevano ridotto il numero delle cavalcature disponibili che a stento arrivavano alle 10.000 unità.
Mentre i barbari si preparavano alla battaglia i nostri esploratori vigilavano e tenevano Traiano informato su ogni loro mossa.
Gli Suebi vivono in modeste abitazioni isolate e nelle loro terre non ci sono villaggi, quindi i guerrieri si diedero convegno in un unico luogo aperto.
Appena Traiano venne a sapere dove era situato il campo nemico si mise alla ricerca di un terreno favorevole dove attirare il nemico e ordinò a Teboniano e a Scauriano di mettersi in marcia con tutte le carrobaliste, lasciando nel I e nel II campo pochi soldati di guardia. Egli stesso partì dal III campo con 15 coorti, la cavalleria numidica comandata da Lusio Quieto e due coorti di arcieri che montavano i cavalli giunti dal IV campo.
II
Le forze in campo erano dunque pari, ma netta era la superiorità della cavalleria nemica, quindi i nostri dovevano evitare di farsi sorprendere mentre attraversavano terreni pianeggianti.
Per questa ragione gli esploratori erano costantemente vigili e nelle loro perlustrazioni avevano scovato, a poco più di dieci miglia dal campo nemico, una stretta valle che si insinuava tra due colline.
Traiano, ispezionato il luogo, decise di posizionare le sue forze su una altura, mentre sull’altra salirono Teboniano e Scauriano, che nel frattempo erano sopraggiunti.
Tutto fu fatto nel massimo ordine e silenzio, mentre la cavalleria numidica di Lusio Quieto, rinforzata dalle due coorti di arcieri a cavallo, si muoveva a fondo valle con grande frastuono e alzando alte nuvole di polvere.
Lusio Quieto aveva il compito più difficile, quello di avvicinarsi al nemico, attaccarlo con rapide incursioni cercando di perdere il minimo numero di cavalieri e gradualmente ritirarsi fino ad attirare i Quadi nella angusta valle.
La difficoltà maggiore era rappresentata dagli abilissimi arcieri nemici ai quali Lusio Quieto poteva opporre soltanto le sue due coorti, mentre era impossibile utilizzare le carrobaliste e ogni altra macchina da guerra in uno scontro di sola cavalleria.
Quieto dunque si avvicinò al nemico che immediatamente mise all’opera gli arcieri, la nostra cavalleria fu costretta a ritirarsi quanto bastava per sottrarsi alle frecce dei barbari, ma, nonostante le provocazioni dei nostri, i barbari, ammaestrati dalle precedenti battaglie, non uscirono dal loro campo per attaccarci.
Passò così buona parte della giornata finchè Quieto decise di ritirarsi definitivamente sulle alture di cui abbiamo parlato.
Sembrava dunque che il piano di Traiano fosse fallito.
Ma ecco che durante la notte i nostri esploratori che non cessavano mai di vigilare avvertirono Traiano che i Quadi si erano messi in marcia con l’intenzione di sorprenderci.
Immediatamente Traiano mandò la cavalleria nel fondo valle e fece accendere fuochi simulando un grande accampamento.
Sulle colline furono posizionate tutte le macchine da guerra in attesa dell’arrivo dei barbari, che procedevano lentamente e in grande silenzio. Essi, come avremmo visto più tardi, si erano colorati il volto di nero, neri erano gli scudi e nere le mantelle.
Quando videro i nostri fuochi non persero tempo a lanciare frecce, ma vennero alla carica con la cavalleria leggera, lanciando terribili grida di guerra, ma Lusio Quieto era pronto e al suo comando la cavalleria si diede alla fuga attirando ancora più all’interno della valle i Quadi assetati di sangue e bramosi di vendetta.
A questo punto entrarono in azione le macchine da guerra che, in parte perché la valle era rischiarata dai fuochi che i nostri avevano acceso, in parte perché la valle era molto stretta, fecero una grande strage dei nemici. Frattanto i Romani avevano bloccato con tronchi d’albero la via per la quale i barbari erano entrati nella valle e dietro questi tronchi i nostri arcieri colpivano i nemici senza pietà.
Pochi cavalieri Quadi riuscirono a forzare il nostro sbarramento.
In meno di un’ora si compì il fato dei Quadi.
Nella notte ancora scura si udivano i lamenti dei feriti e ancora più orrendi i nitriti dei cavalli morenti.
Quando cominciò ad albeggiare i nostri poterono contare i morti e i feriti nemici.
I morti furono 2.000, i feriti oltre 3.000 e 2.000 uomini rimasti senza cavalcatura furono presi prigionieri.
III
Quando la notizia del disastro fu portata al campo dei Quadi le loro donne, che accompagnano i guerrieri anche in guerra, alzarono strazianti grida di dolore.
Traiano impietosito mandò presso i Quadi alcuni prigionieri con un suo messaggio: “Se essi volevano potevano venire a prendere i feriti, a reciproca garanzia avrebbero potuto scambiarsi degli ostaggi”.
I Quadi temevano che questo potesse essere un inganno, ma infine lo scambio degli ostaggi li convinse della buona fede di Traiano.
Tutto si svolse nel massimo ordine.
I feriti caricati su carri furono riportati nel campo dei barbari, i morti furono arsi su grandissime pire.
Questa tremenda sconfitta gettò i Quadi nello sconforto, perché ormai vedevano che i Romani leggevano nel loro pensiero e prevedevano le loro mosse.
A nulla valeva il coraggio, a nulla il valore.
Infine queste popolazioni sono preda delle più incredibili superstizioni tanto che andavano dicendo che gli stessi dei immortali guidavano i Romani, poiché gli Suebi solo agli dei immortali sono secondi.
Completamente scoraggiati mandarono una ambasceria a Traiano chiedendo una tregua perché si potessero ritirare nel estremo nord del paese, restasse Traiano padrone delle loro terre, ma lasciasse loro almeno la vita.
Marco Ulpio dubitava della loro buona fede, visto che i 4.000 catafratti si erano salvati, ma ormai l’estate si avviava al termine e non conveniva protrarre oltre i combattimenti, concesse dunque che essi si ritirassero a Nord e di fonte alle loro terre edificò il V campo.
In realtà Traiano non era interessato ne’ a occupare le terre dei Quadi, ne’ ad annientare un popolo che per lunghi anni era stato un fedele alleato del popolo Romano, ma fin tanto che non fossero stati sconfitti anche i Marcomanni e gli Iazigi, voleva che le terre dei Quadi fossero libere da nemici e allo stesso tempo voleva avere la possibilità di assalire i Marcomanni per un'altra via e non solo attraversando il Danubio.
La notizia della resa dei Quadi fu portata a Roma e diede grande gioia a Domiziano, che per altre ragioni era crudamente angustiato.
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