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LA GRANDE SCUOLA ROMANA

Nel corso del XIII secolo la pittura romana aveva acquisito una propria originale fisionomia.

È interessante rilevare come questi aspetti siano stati scoperti, o riscoperti, in tempi recentissimi; il 1995 nel caso dei grandi affreschi dell’Aula Gotica, ai Santi Quattro Coronati, affreschi che decoravano i 750 metri quadri delle pareti dell’aula, dei quali grazie al restauro ne sono stati riportati alla luce 350.

 
Il Giudizio Universale - clicca per ingrandire  

Come pure in tempi relativamente recenti sono stati restaurati gli splendidi affreschi del Maestro di San Saba.
Gli affreschi della basilica inferiore di San Clemente, grazie all’infaticabile padre Mullooly, sono riaffiorati a partire dal 1865 e le complesse operazioni di restauro sono tuttora in corso.
Lo straordinario Giudizio Universale, capolavoro di Pietro Cavallini, del quale parleremo in seguito, fu riscoperto sotto pitture settecentesche, ai primi del 1900 e anche in questo caso il delicatissimo restauro si è concluso da non molti anni.

In breve la pittura medievale romana è stata riscoperta solo recentemente e ad oggi è conosciuta solo dalla ristretta cerchia degli specialisti.

Appurata dunque l’originalità della pittura romana, già dagli albori del XIII secolo, nel corso degli anni emersero i grandi Maestri Romani: Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti.

Il capostipite fu Pietro Cavallini, che presumibilmente nacque attorno al 1240 a Roma e a Roma morì poco dopo il 1330, fu dunque coetaneo di Cimabue e di circa 25 anni più vecchio di Giotto.
In vita ebbe grande fama, il Ghiberti lo definì “dottissimo”.

La critica per molti anni è stata incerta nell’esprimere un giudizio sulla sua originalità, forse fuorviata dal fiorentino Vasari che lo qualificò come allievo di Giotto, il che per ragioni anagrafiche è impossibile. Più interessante potrebbe essere il rapporto con Cimabue, tuttavia analizzando l’opera di Cavallini, quanto di essa ci resta, scopriamo che la sua strada si richiama soprattutto alla pittura classica e al realismo della pittura romana antica.

Di Cavallini ci sono arrivati mosaici e affreschi.
L’affresco imponendo meno vincoli all’artista gli consente una maggiore libertà d’espressione.

Straordinario a Santa Cecilia è il Giudizio Universale.
A Santa Maria in Aracoeli Cavallini aveva affrescato l’abside che disgraziatamente Papa Pio IV demolì e con esso buona parte dell’opera di Pietro è andata perduta; è sopravvissuto l’affresco sopra alla tomba di Matteo d’Acquasparta e per ragioni stilistiche gli vengono attribuite anche alcune parti frammentarie, soppravvissute lungo la navata destra.

Parti frammentarie attribuite a Pietro Cavallini - clicca per ingrandire

A San Giorgio al Velabro possiamo vedere l’affresco dell’abside, peraltro, forse per ragioni collegate all’umidità, grossolanamente restaurato.

Tra i Mosaici, famosissime sono le Storie della Vita di Maria a Santa Maria in Trastevere, il cui naturalismo evidenzia il superamento dello stile bizantino e l’inizio della scuola romana.

A Cavallini viene anche attribuito il mosaico che scorre lungo la facciata della chiesa. Considerata la lontananza non è facilmente visibile, ma se viene osservato con attenzione: i volti, le vesti, lo stupendo cromatismo, mostrano la sublime creatività e l’ineguagliabile tecnica che hanno assistito l’artista.

Nell’abside di San Crisogono è stato collocato un pannello musivo attribuito a Pietro, la cui superfice è piatta e non concava come l’abside, se ne deduce che proviene da un’altro luogo.

Dopo essere stato a Napoli alla corte di Carlo I d’Angiò (dove aveva affrescato la splendida Crocifissione, nella cappella Brancaccio della chiesa di San Domenico Maggiore), tornato a Roma diede vita all’ultima sua opera, il ciclo dei mosaici per San Paolo fuori le Mura iniziato dopo il 1325 e concluso poco dopo il 1330.

Dal catastrofico incendio del 1823, che ha divorato la basilica, si è salvato solo l’abside è il chiostro. Sull’arco trionfale dell’abside sono sopravvissuti una piccola parte dei mosaici di Pietro Cavallini.

I mosaici sull’arco trionfale dell’abside di San Paolo fuori le Mura - clicca per ingrandire

Della vita di Jacopo Torriti sappiamo ben poco. Si presume che sia nato a metà del XIII secolo e che sia morto all’inizio del 1300.

Nel mosaico lateranense ci ha lasciato un suo autoritratto, dove compare con il saio  francescano, accompagnato dalla scritta (traduzione dal latino), “Jacopo Torriti pittore fece quest’opera nell’anno del Signore 1292”. Purtroppo il rifacimento dell’abside, perpetrato nel 1878, ha profondamente alterato il mosaico e quindi l’opera di Jacopo, già complessa perché doveva convivere con elementi preesistenti, risulta non poco compromessa. Quanto al saio francescano che indossa va ricordato che il committente, Papa Niccolò IV, fu il primo Papa francescano.

Lo stesso Niccolò IV affidò a Jacopo la progettazione dei magnifici mosaici destinati all’abside di Santa Maria Maggiore

che rappresentano l’incoronazione di Maria e Storie di Maria. I cartoni sono firmati e riportano la data del 1296.

Nella lunetta sopra all’ingresso laterale di Santa Maria in Aracoeli ci ha lasciato una splendida Madonna col Bambino.
Si ipotizza che abbia partecipato alla decorazione dell’Aula Gotica ai Santi Quattro Coronati, in particolare il suo contributo sarebbe riferibile alle Allegorie dei Vizi e delle Virtù.
Sappiamo che lavorò ad Assisi nella Basilica Superiore di San Francesco  e si presume che abbia conosciuto Cimabue.
Tuttavia la sua formazione artistica, fortemente influenzata da Pietro Cavallini, è indubbiamente romana.

Se di Jacopo Torriti sappiamo poco, meno ancora sappiamo di Filippo Rusuti, che lavorò con Jacopo Torriti nella Basilica Superiore di San Francesco, ad Assisi.

La sua unica opera firmata è il mosaico della facciata di Santa Maria Maggiore.
Il mosaico è articolato in due registri, il registro superiore, dove è raffigurato Cristo in Gloria tra i simboli degli evangelisti, la Vergine e i santi Giacomo Paolo, Giovanni Battista e Pietro, è firmato.
Il registro inferiore con le Storie della fondazione della chiesa si ritiene che sia stato completato più tardi da suoi allievi su suoi cartoni. Il committente dell’opera fu il cardinale Pietro Colonna, quindi fu realizzata tra il 1288 e il 1297.

Sempre grazie ai Colonna, al seguito di Pietro Cavallini, attorno al 1320 andò a Napoli, dove partecipò alla decorazione della cappella Brancaccio nella chiesa di San Domenico Maggiore.

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