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LIBRO III - VITTORIE ROMANE IN SPAGNA - RESISTENZA IN ITALIA

I – Dopo la vittoria di Canne e la presa di Capua, tutto sembrava propizio ad Annibale, tutto a noi avverso.
Nondimeno la Repubblica non si piegò all'avverso Fato.

Avvezzo alle volubili tribù Spagnole, Annibale pensava che, abbandonati dai nostri alleati, saremmo scesi a patti.
Ma i nostri alleati più fedeli non ci abbandonarono e noi stessi rifiutammo della pace la parola stessa.

Sulle montagne della Daunia Gaio Terenzio Varrone aveva mostrato ad Annibale che non avevamo rinunciato a batterci e le città Greche sul Tirreno non defezionarono, privando il Cartaginese di qualunque approdo sul mare.
Mentre a Capua Annibale faceva riposare il suo esercito, logorato da tante fatiche, è lecito congetturare che si sia reso conto di quanto fosse lontana l'Apulia da Capua e quanto fosse difficile controllare un così vasto territorio con le sue sole forze.

Mandò dunque una ambasceria a Filippo V di Macedonia, del quale erano noti i sentimenti anti-Romani, annunciandogli senza falsa modestia, la sua magnifica vittoria e proponendogli una comune alleanza per atterrare definitivamente Roma.


Filippo V

Ma di ciò dirò in un tempo successivo.

 

II – A causa della morte di uno dei due consoli si rese necessaria la nomina di un dittatore. 

Gaio Terenzio Varrone nominò dittatore Marco Giunio Pera, già console (nel 230) e censore (nel 225).


Marco Giunio Pera

Costui, ordinata la leva, non solo arruolò quali volontari gli schiavi promettendo loro la libertà, ma giudicando comunque insufficienti le forze disponibili, sciolse da ogni pena e da ogni debito tutti i detenuti, circa seimila, ai quali furono assegnate le armature che Gaio Flaminio aveva preso agli Insubri e che erano state mostrate nel suo trionfo.

Ciò fatto partì per Teanum Sigidinum (Teano).

Di lì a poco, sentito il Senato, Varrone nominò quale secondo dittatore Marco Fabio Buteone, già console (nel 245) e censore (nel 241).


Marco Fabio Buteone

Per la seconda volta nella sua storia la Repubblica fu retta da due dittatori.

Costoro convocarono i comizi per l’elezione dei nuovi consoli.

Furono eletti Lucio Postumio Albino e Tiberio Sempronio Gracco.

Proconsoli furono nominati Gaio Terenzio Varrone e Marco Claudio Marcello.

Tiberio Sempronio Gracco Marco Claudio Marcello

Postumio Albino, che quale pretore si trovava allora in Gallia Cisalpina, sconfitto dai Boi, morì in battaglia.

Questa nuova sconfitta provocò a Roma un grande cordoglio.
Il console eletto Sempronio Gracco, convocato il popolo nel Foro, disse che si doveva pensare al pericolo più incombente e questo era rappresentato da Annibale, con i Galli avremmo regolato i conti a tempo debito.
La sua fermezza rianimò il Popolo. 

Per la morte di Albino resasi vacante la carica, fu richiamato a Roma ed eletto console Marcello, ma si opposero gli auguri asserendo che mai sino ad allora erano stati eletti contemporaneamente due consoli plebei.

Marcello si dimise, subentrò Quinto Fabio Massimo Verrucoso, che peraltro era uno degli auguri, mentre Marcello andava a Suessula (località scomparsa si trovava non lontano da Acerra).

Noi restammo in Apulia col proconsole Gaio Terenzio Varrone, al quale furono assegnate due legioni, con il compito di impedire ad ogni costo che Annibale risalisse verso Roma, seguendo la strada che costeggia il mare Adriatico (nel corso degli anni il proconsolato fu prorogato a Varrone fino al 212) ed in pari tempo obbligare lo stesso Annibale a distaccare parte delle sue truppe per difendere le sue conquiste in Apulia, dalle nostre incursioni, infine Varrone doveva impedire ai mercenari Galli di scendere lungo l'Adriatico per ricongiungersi con Annibale.

 

III - Marcello da Suessula si portò a Casilinum (l’attuale Capua, mentre l’antica Capua oggi ha nome Santa Maria Capua Vetere).   

Casilinum si trova sul fiume Volturno a settentrione di Capua, dalla quale dista tre miglia (circa 4,5 km).
La mossa di Marcello obbligava Annibale a tenere presso Capua un forte presidio, impedendogli di concentrare tutte le sue forze per assalire le città costiere.

Il Cartaginese ripiegò allora sul meno ambizioso obiettivo di prendere Nola, dove come spesso accadde si fronteggiavano un partito filo-Romano ed uno anti-Romano.

I nostri amici venuti a sapere che il partito avverso era pronto ad aprire le porte della città ad Annibale, inviarono messi a Marcello, avvertendolo che se non fosse intervenuto prontamente Nola sarebbe caduta.
Marcello non perse tempo e per non essere intercettato da Annibale, che ormai si trovava nel territorio Nolano, calò sulla città scendendo dai monti.

Intanto Annibale, dando per certa la defezione di Nola, marciò su Nuceria (corrisponde alle attuali Nocera Inferiore e Superiore), vanamente assediata precedentemente.

La tracotanza del Cartaginese consentì a Marcello di entrare in Nola senza pericolo, mentre Annibale dovette negoziare con i Nocerini la loro resa, accettando che lasciassero liberi la città con una sola veste e senz’armi.

I Nocerini ripararono parte a Nola e parte a Neapolis.

 

IV – Distrutta Nuceria, Annibale tornò ad assediare Nola, sempre fiducioso che i suoi alleati gli avrebbero consegnato quella che pensava fosse la guarnigione Romana.

Ma i Nocerini che si erano rifugiati a Nola, portando la notizia della distruzione della loro città, rafforzarono il partito filo-Romano, mentre Marcello osservava le manovre di Annibale per coglierlo di sorpresa.

Ogni giorno i Cartaginesi si presentavano sotto alle mura di Nola in schieramento da battaglia, ma poiché i Romani non davano segno di accettare la sfida, giorno dopo giorno i nemici divennero sempre più indolenti.

Quando Marcello stimò che i tempi fossero maturi, disposte le sue forze dietro alle tre porte della città che fronteggiavano l’accampamento nemico, mentre i Cartaginesi (dopo aver vanamente sfidato i Romani) si apprestavano a tornare disordinatamente nei loro alloggiamenti, fatte aprire improvvisamente le porte ordinò la carica.

I nemici, travolti dal nostro furore lasciarono sul terreno centinaia di morti, mentre pochi furono i caduti Romani.

Dopo la batosta che Gaio Terenzio aveva suonato ai Cartaginesi in Apulia, questa fu la seconda volta che li vincemmo e per di più alla presenza di Annibale. 

 

V – Sembrava dunque che la buona sorte avesse finalmente abbandonato il nemico, che ansioso di rivincita mosse verso Acerra.

Intanto Marcello chiuse le porte di Nola, processò coloro che avevano tramato per la consegna della città al nemico.
Furono eseguite settanta condanne a morte.

Lasciata infine una guarnigione a Nola si fortificò sulle montagne che sovrastano Suessula, che da allora furono chiamati “Campi di Marcello”. 

Annibale giunto di fronte ad Acerra invitò gli abitanti ad arrendersi spontaneamente.
Ma gli Acerrani, diffidando della infida parola del Cartaginese, chiusero le porte della città e si prepararono alla resistenza.

Malauguratamente gli Acerrani avevano più coraggio che forze, pertanto quando compresero che senza speranze era la difesa della città, silenziosi nottetempo, percorrendo sentieri impraticabili, abbandonarono la patria per recarsi in quelle città della Campania che erano rimaste fedeli all’alleanza con i Romani.

Preso da irrefrenabile ira Annibale mise a fuoco Acerra.
Poco tempo dopo venne informato che Marcello, portatosi in prossimità di Casilinum, minacciava Capua.

In verità a Casilinum si trovava un piccolo presidio Romano formato da una coorte di Perugini e circa cinquecento Prenestini. 

 

VI – Fu chiaro allora che la strategia di Marcello era quella di anticipare le mosse di Annibale e in pari tempo di costringerlo sulla difensiva.

Il Cartaginese temendo che il Romano, muovendo da Casilinum, potesse insidiare Capua, mandò all'assalto un forte contingente di Africani al comando di Isalca. Costoro avvicinatisi alle mura della città furono accolti da un completo silenzio.

Pensando che nel timore dell'assedio gli abitanti fossero fuggiti, i barbari tentarono allora di forzare le porte, in quella il presidio Romano li assalì con estrema violenza facendone strage.

Travolto dall'ira Annibale mandò all'assalto Maarbale con grandi forze.
Ma neppure questi ebbe la meglio del piccolo presidio che difendeva la piccola città.

Avanzò lo stesso Annibale e circonvallata Casilinum si preparò all'assedio, promettendo grandi premi a chi per primo avesse scalato le mura della città.

Il presidio resistette tenacemente.

Scornato il Cartaginese rientrò a Capua, dove trascorse l'inverno.
Tornata la buona stagione Annibale tornò a Casilinum, che ormai resisteva ai Cartaginesi da oltre sei mesi.

I difensori stremati dalla fame accettarono di trattate le condizioni per la consegna della città. I Prenestini e i Perugini concordarono un riscatto a condizione che fossero lasciati liberi.
Di cinquecentosettanta Prenestini circa la metà era morta in battaglia, o per fame.

Gli altri tornarono in patria con il loro comandante Anicio, al quale fu dedicata una statua. 


Anicio

Anche i Perugini superstiti tornarono liberi in patria.

 

VII – Intanto a Roma il dittatore Marco Fabio Buteone si preoccupò di reintegrare il numero dei senatori, poiché ne erano morti un gran numero, caduti alla Trebbia, al Trasimeno e a Canne.

Centosettantasette furono i nuovi senatori scelti tra i consoli, i proconsoli, i pretori e i propretori, gli edili, i tribuni della plebe, i questori e coloro che erano stati insigniti della corona civica (una delle maggiori onorificenze concessa ad un cittadino romano).

Ritenendo peraltro del tutto irregolare la nomina di due dittatori, Buteone, appena reintegrato il Senato, depose la carica accompagnato dal plauso di tutti i cittadini.
L'altro dittatore fu richiamato a Roma perché procedesse all'elezione dei nuovi consoli.

Intanto furono eletti pretori Marco Valerio Levino, Appio Claudio Pulcro, Quinto Fulvio Flacco e Quinto Muzio Scevola.

Marco Valerio Levino Appio Claudio Pulcro

A Marco Levino fu assegnata la flotta che si trovava nel porto di Taranto, con il compito di pattugliare la costa che va da Taranto a Brundisium e controllare, sull'altra riva del mare, le mosse di Filippo V.

Ad Appio Claudio Pulcro fu assegnata la Sicilia (la gens Claudia era formata dai Pulcri, patrizi e dai Marcelli, plebei).
A Quinto Fulvio Flacco fu affidata la pretura urbana.
A Quinto Muzio Scevola la Sardegna.

Come detto a Gaio Terenzio Varrone fu prorogato il comando e fu disposto che in nulla fosse diminuito il suo esercito.

 

VIII – Mentre in Italia accadevano queste cose, in Spagna gli Scipioni si divisero i compiti in modo siffatto: Gneo, che da più tempo vi si trovava, prese il comando delle truppe di terra, Publio della flotta.

Asdrubale Barca, ammaestrato dalle precedenti sconfitte, ritenendo poco affidabili le forze di cui disponeva, chiese ripetutamente al senato Cartaginese di inviargli rinforzi.

I Cartaginesi peraltro, ritenendo prioritaria la guerra in Italia, solo dopo molte insistenze gli mandarono quattromila fanti e mille cavalieri.

Ripreso coraggio Asdrubale lasciò le posizioni fortificate dietro alle quali si era trattenuto, per avanzare verso il campo di Gneo Scipione, ma proprio allora i comandanti delle navi della sua flotta, non sopportando le accuse dei Cartaginesi di aver a suo tempo abbandonato per paura le navi sull'Ebro, disertarono passando in blocco al popolo dei Tartessi (abitavano l'attuale Cadice), da sempre ostili ai Punici.

Asdrubale, temendo di essere preso in mezzo tra i Romani a settentrione ed i Tartessi a meridione, effettuata una conversione si preparò ad assalire questi ultimi, senza esito perché gli Spagnoli combattendo con grande vigore costrinsero il Cartaginese sulla difensiva.

Tuttavia a tanto vigore non corrispondeva altrettanta disciplina, fu quindi la volta di Asdrubale ad avere la meglio facendo strage dei nemici ed obbligandoli alla resa.
Non di meno appena i Cartaginesi, secondo gli ordini ricevuti, si allontanarono per dirigersi in Italia, i Tartessi ripresero le armi, seguiti da altri popoli Spagnoli.

Asdrubale allora informò Cartagine quale sciagura avesse provocato la sola notizia della sua partenza. Quindi, se non si voleva che l'intera Spagna cadesse in mano Romana, era necessario che fosse inviato con un forte esercito un suo successore.

Intanto la rivolta dei Tartessi ritardò la sua partenza poiché dal meridione della Spagna dovette percorrere trecento cinquanta miglia (530 km) per raggiungere Cartagena.

Da qui con il grosso dell'esercito partì verso l'Ebro.

 

IX – Il senato Cartaginese, non modificò la deliberazione dianzi presa, tuttavia mandò in Spagna Imilcone con una flotta e nuove truppe.


Imilcone

Questi, raggiunto Asdrubale, lo aggiornò circa le deliberazioni del Senato.

Asdrubale, estorto alle popolazioni Spagnole che ricadevano sotto al suo dominio tutto il denaro che poté, si accinse a partire per l'Italia.
Gli Scipioni venuti a conoscenza delle deliberazioni dei Cartaginesi, unite le forze, stabilirono di impedire con ogni mezzo che Asdrubale potesse passare in Italia.

Dopo varie schermaglie si arrivò allo scontro decisivo nelle vicinanze di Dertosa (oggi Tortosa non lontano da Tarragona).

I due eserciti erano di forze pressoché pari, ma il grosso delle truppe di Asdrubale era costituito da Spagnoli, che il Cartaginese aveva dislocato al centro dello schieramento.
Costoro, avendo compreso che sarebbero stati condotti lontano da casa, affrontarono i Romani con incerto animo; al contrario i nostri sapevano di combattere per la salvezza della patria.
Gli Scipioni, osservato lo schieramento nemico, ordinarono ai legionari di fare impeto contro il centro dove erano concentrati gli Spagnoli. 

Costoro al primo scontro iniziarono a retrocedere, per darsi poi alla fuga.
I cavalieri nemici appena videro che il centro cedeva, anch'essi fuggirono, lasciando le ali alla mercé dei Romani.

Asdrubale, mentre infuriava la strage, per ultimo lasciò il campo di battaglia.
Sconfitti i nemici, i loro accampamenti furono saccheggiati dai nostri.

Appena la notizia giunse a Roma, grandi furono i festeggiamenti, non solo per la vittoria, ma soprattutto perché gli Scipioni avevano interdetto ad Asdrubale il passaggio in Italia.   

 

X –Il pretore Quinto Muzio Scevola, appena giunto in Sardegna cadde malato in un momento quanto mai critico, infatti i Sardi, insofferenti del dominio Romano, al comando di Ampsicora preparavano la ribellione.


Ampsicora

Costui informò i Cartaginesi delle proprie intenzioni, sollecitando il loro aiuto.

In attesa della guarigione di Muzio al suo posto fu nominato comandante Tito Manlio Torquato, che già in passato aveva governato la Sardegna.


Tito Manlio Torquato

Al senato Cartaginese, quasi nello stesso tempo, giunse la notizia della sconfitta di Dertosa e della ribellione dei Sardi.

Mutato lo scenario, Magone Barca, che con dodicimila fanti e mille cavalieri si era imbarcato per portare nuove truppe al fratello Annibale, ricevette l'ordine di cambiare rotta per andare in Spagna, dove Asdrubale, detto il Calvo, lo attendeva con una flotta per raggiungere Ampsicora in Sardegna. 

Approdato in Sardegna Asdrubale il Calvo rimandò la flotta a Cartagine.


Asdrubale il Calvo

Manlio, saputo che i Cartaginesi erano sbarcati, si fortificò a Carali (l'attuale Cagliari), la cui popolazione era alleata del popolo Romano.

Guidato da Ampsicora, Asdrubale avanzò verso Carali per devastarne il territorio.

Manlio per impedire, che la fertile pianura fosse impunemente saccheggiata, si fece incontro al nemico.
Asdrubale, fidando nella superiorità numerica, accettò la battaglia.

Per qualche ora il combattimento infuriò con esito incerto, ma quando si giunse al corpo a corpo lo schieramento nemico cominciò a cedere, in quella i nostri fatto impeto sfondarono la linea nemica.

Come sempre succede in questi casi ognuno pensò alla propria salvezza, dandosi a precipitosa fuga.
Annibale il Calvo fu catturato e con lui altri nobili cartaginesi.
Ampsicora si suicidò.

Manlio, accettata la resa delle città ribelli, impose loro un tributo in grano e denaro; tornato a Carali si imbarcò, portando a Roma con la lieta notizia il grano, il denaro e i prigionieri che consegnò al pretore urbano Quinto Fulvio Flacco.

 

XI – Persa la speranza di riprendere la Sardegna, considerata la critica situazione in Spagna, il senato Cartaginese deliberò di mandarvi un nuovo esercito al comando di Asdrubale Gisgone.


Asdrubale Gisgone

Intanto Asdrubale Barca con il fratello Magone, anticipando le mosse degli Scipioni, attaccò e sconfisse diversi popoli Spagnoli nostri alleati.

Attraversato l'Ebro gli Scipioni si misero in caccia dei nemici che raggiunsero a Castro Albo (nei pressi di Alicante); qui arrivò con il suo esercito anche Asdrubale Gisgone.

I Cartaginesi, sempre inseguiti dagli Scipioni, tentarono di prendere prima la città di Iliturgi (oggi Mengibar in Andalusia). Messi in fuga dai Romani dovettero rinunciare all'assedio; tentarono allora di sorprendere Bigerra (oggi Becerra, piccolo centro della Vecchia Castiglia), ma all'avvicinarsi di Gneo Scipione levarono l'assedio.

Si giunse alfine allo scontro frontale a Munda (oggi Montilla in Andalusia), dove la vittoria dei nostri fu offuscata dal ferimento di Publio Scipione, severamente colpito al femore.
I nemici ripiegarono su Orongi (prossima a Jimena de la Frontera in Andalusia), dove infuriò una nuova battaglia.
Publio, fattosi condurre in lettiga sul campo di battaglia, riportò una nuova vittoria.

Ma i Barca non rinunciarono al combattimento, Asdrubale mandato il fratello ad arruolare nuove truppe completò con le reclute il suo esercito.
Non mutò l'esito, mentre i Cartaginesi si ritiravano dal territorio degli Oretani (comprendente l’Andalusia Orientale e la Murcia) furono nuovamente sconfitti e ricacciati a Cartagena.

Giunti in prossimità di Sagunto gli Scipioni, messo in fuga il presidio nemico, ripresero quella città che era stata all'origine della presente guerra e la restituirono a quei pochi Saguntini che erano scampati a tante sciagure,
Fecero cercare per ogni dove i rimanenti sopravvissuti, che Annibale aveva venduto come schiavi, e liberati li riportarono nella amata patria.

Infine inseguiti i Turdetani, che avevano proditoriamente provocato l'intervento di Annibale contro Sagunto, fattili prigionieri, a loro volta li vendettero come schiavi.

 

XII – A Roma il peso della guerra cominciò a farsi sentire.

Le casse dello stato erano vuote e non solo non c’era modo di pagare gli stipendi ai soldati di tanti eserciti, ma mancava anche il denaro per acquistare il frumento, le vesti e quant’altro era necessario.
Gli Scipioni scrissero al Senato che al denaro avrebbero provveduto con l’aiuto degli Spagnoli, ma tutto il resto era necessario che fosse prontamente inviato.

Fu preso quindi il provvedimento di mettere all'incanto le forniture, a patto che gli aggiudicatari anticipassero le spese, che a tempo debito sarebbero state rifuse.

Gli appaltatori accettarono tali condizioni purché non dovessero rispondere dell’eventuale naufragio delle navi che trasportavano le forniture medesime.

 

XIII – In Italia Annibale, angustiato per la mancanza di approdi sul Tirreno, mandò Annone per convincere le città Greche sulla costa del Bruttio a passare ai Cartaginesi, ma questi vedendo che i Bruttii, loro antichi nemici, erano alleati dei Punici, tanto più volentieri restarono fedeli a Roma.

Annone tentò allora di prendere Rhegium con la forza, ma non potendo attaccare il porto che era presidiato dalla flotta Romana prontamente inviata da Appio Claudio Pulcro, dovette rinunciare al tentativo.

Si volse allora a Locri, qui presi in ostaggio con uno stratagemma gli abitanti, che, di tutto ignari, vagavano per la campagna, costrinse alla resa i Locresi, intimoriti dalla presenza di Annibale, che a marce forzate aveva raggiunto Annone. Ai Locresi fu garantito che sarebbero stati considerati alleati, purché per il futuro da alleati si comportassero. I Locresi accettarono tali condizioni, non senza aver fatto fuggire, via mare, Lucio Atilio con la guarnigione Romana.

Aspramente rimproverati da Annone, i Locresi si discolparono dicendo che Atilio era fuggito per conto suo.
In tutto questo i Bruttii che avevano scortato Annone e che avevano sperato di saccheggiare Rhegium e Locri, protestarono vivamente e nell’intento di farsi giustizia decisero di prendere Crotone, ma temendo la reazione di Annibale chiesero la sua autorizzazione.

Annibale li rimandò ad Annone, costui cercando di salvare la città dalla distruzione, propose ai Crotoniati di accogliere i Bruttii, per ripopolare in tal modo una città che nel corso del tempo si era spopolata.
Ma i Crotoniati risposero che a nessun costo si sarebbero mescolati ai Bruttii, allora Annone convinse i Locresi ad accogliere nella loro città i Crotoniati, che a queste condizioni lasciarono l’antica patria.

Non furono queste per i Cartaginesi grandi conquiste, visto che quelli di Locri e Crotone sono due porticcioli esposti ai venti ed alle tempeste, ma per lo meno Annibale poteva salvare la faccia.

 

XIV  - In Italia gli eserciti Romani si dislocarono in questo modo: il console Fabio Massimo si fortificò con due legioni sopra Suessula negli accampamenti occupati precedentemente dal proconsole Marcello, che si trovava a Nola; il console Sempronio Gracco con due legioni di schiavi volontari si attestò in prossimità di Luceria, fronteggiando Annibale che lasciata Capua si era fortificato ad Arpi; il proconsole Terenzio Varrone con le sue due legioni dalle montagne della Daunia, ad un tempo impediva ad Annibale di risalire lungo l'Adriatico ed in pari tempo teneva sotto scacco le città Apule conquistate dallo stesso Annibale.

Intanto il Cartaginese era forzato a difendere sia Capua che le sue conquiste in Apulia. A Casilinum aveva distaccato una guarnigione formata da duemila Capuani e settecento Cartaginesi, pensando di aver in tal modo messo al sicuro la stessa Capua.

Il console Fabio, volendo riprendere Casilinum, lasciate le fortificazioni scese verso il fiume Volturno.

I Capuani temendo la vendetta Romana, invocarono l’aiuto di Annibale che lasciata Arpi a marce forzate si diresse verso il monte Tifata, dal quale dominava la stessa Capua.

Informato della partenza di Annibale da Arpi, Fabio Massimo, chiese al console Sempronio Gracco di difendere Benevento, insidiata da Annone che con grandi forze risaliva dal Bruttio. 

Chiese inoltre al proconsole Varrone di minacciare Arpi, per obbligare i Cartaginesi a tenervi un forte presidio.

Giunto sul monte Tifata, non vedendo tracce dei Romani, poco mancò che Annibale non frustasse i Capuani che erano giunti a rendergli omaggio.

Altro non avendo da fare, non avendo rinunciato ad occupare una delle città della costa tirrenica, il Cartaginese attaccò Puteoli (Pozzuoli), che difesa da un presidio di seimila uomini resistette bravamente.

Preda della sua ira Annibale allora devastò il territorio dei Neapolitani, che non avevano alcuna intenzione di arrendersi e successivamente quello di Nola, dove era atteso da Marcello.

Questi, ordinato al comandante della cavalleria Gaio Claudio Nerone di uscire nottetempo dalla città per aggirare il nemico, al primo albore attaccò e sconfisse i Cartaginesi, ma Nerone, poco pratico della zona arrivò in ritardo sul campo di battaglia, così quella che avrebbe potuto essere una memorabile vittoria svanì.


Gaio Claudio Nerone

Marcello rimproverò aspramente Claudio Nerone, ma intanto Annibale aveva avuto il tempo di ritirarsi per tornare di lì a poco in Apulia. 

 

XV – Mentre queste cose accadevano a Nola, a Benevento si diedero battaglia Annone e Sempronio Gracco.

Sempronio, come detto, comandava due legioni di schiavi volontari, tra i quali serpeggiava il malcontento, infatti nonostante la disciplina ed il valore sino ad allora mostrati, della promessa libertà non era stata fatta più parola.
Il console pertanto scrisse al Senato chiedendo istruzioni.

Gli fu risposto di provvedere come ritenesse opportuno.  

Allora Sempronio convocato l’esercito annunciò che l’indomani si sarebbe combattuta una decisiva battaglia, nella quale ciascuno avrebbe potuto mostrare il proprio valore, ma solo la vittoria avrebbe testimoniato il loro diritto alla libertà.

“Datemi la vittoria, vi darò la libertà”.

Le parole del console furono accolte da incontenibile entusiasmo.
Il resto del giorno fu speso a preparare le armi.

Al nuovo sole, quando Sempronio uscì dal campo con il suo esercito, trovò di fronte a sé diciassettemila fanti in massima parte Bruttii e Lucani e mille cavalieri Numidi e Mauri.

La battaglia fu violentissima, cruenta e lunga, ma la speranza della libertà era così forte che i nostri, né provati dalle ferite, né dalla fatica, piegarono lo schieramento nemico, primi iniziarono a cedere i Cartaginesi, seguiti poi da tutti gli altri e neppure si fermarono nei loro accampamenti, ma proseguendo una fuga disordinata, in gran numero caddero sotto le nostre spade.

Furono prese trentotto insegne nemiche, fatti innumerevoli prigionieri, raccolto un grande bottino.

Tiberio Sempronio Gracco ordinò che tutti gli schiavi fossero liberati, facendo voto che quel fausto giorno portasse bene, gioia e fortuna alla Repubblica e a loro stessi.

 

XVI – Per il resto dell'anno non accaddero in Italia grandi avvenimenti, ma solo modesti scontri, che i comandanti dei rispettivi eserciti ingigantirono a seconda dell'esito.

Fabio Massimo avanzò verso Casilinum, ma incontrando una dura resistenza rinunciò all'assedio. Ma Marcello disse che un comandante quando inizia un'impresa deve portarla fino in fondo, quindi con il suo esercito cinse d'assedio la città.

La guarnigione Cartaginese vista la determinazione di Marcello, chiese al proconsole di concedere loro libero il passo perché potessero tornare a Capua, ma il contingente Capuano si oppose alla partenza dei Cartaginesi.
Mentre le porte erano incustodite, all'interno di Casilinum Cartaginesi e Capuani si azzuffarono.

Marcello non perse l'occasione e senza colpo ferire occupò la città.
Vivamente preoccupati i Capuani scrissero ad Annibale invocando il suo aiuto.

Ancora una volta il Cartaginese percorse la strada che dall'Apulia porta a Capua e risalito sul monte Tifata, si mise in condizione di proteggere Capua stessa.

 

XVII – A Roma convocati i comizi furono eletti consoli per l'anno successivo. Quinto Fabio Massimo, figlio del Verrucoso e Marco Claudio Marcello. 

A Gaio Terenzio Varrone fu prorogato il proconsolato per la terza volta, ma visto che si temeva che Asdrubale Barca lasciasse la Spagna, per raggiungere il fratello Annibale, a Varrone fu assegnato il Piceno, per opporsi ad Asdrubale impedendogli di ricongiungersi con il fratello.

Inoltre doveva proteggere i fertili campi del Piceno dai saccheggi dei mercenari Galli, che ingaggiati da Annibale scendevano dalla Gallia Cisalpina verso meridione.

Proseguivano intanto le trattative tra Annibale e Filippo V di Macedonia, pertanto fu prorogato al pretore Marco Valerio Levino il comando della flotta ormeggiata a Taranto, con il compito di impedire eventuali sbarchi dei Cartaginesi e sorvegliare i movimenti di Filippo V.

Levino informato che il re Macedone aveva espugnato la città epirota di Oricum, temendo che ben presto avrebbe attaccato la ben più importante Apollonia (oggi Vallona), immediatamente si imbarcò e riconquistata Oricum, liberò Apollonia dall’assedio.

 

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