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HORTI DI MECENATE

La speculazione edilizia di fine ottocento colpì in particolare l’Esquilino.

Accadde così che mentre venivano demoliti i preesistenti edifici, dalle fondamenta affiorarono i resti dei quelle che erano le antiche ville e i giardini imperiali e grazie soprattutto al grande Rodolfo Lanciani dalla devastazione furono salvate le straordinarie opere che oggi sono esposte nei musei romani.

L’Esquilino prima che fossero costruiti quei palazzoni che oggi vediamo era un tipico rione romano, dove splendide basiliche e grandi palazzi erano contornati da casupole decadenti.
Un intervento di risanamento era dunque necessario, ma ciò che fu fatto rispondeva soltanto alla voce “speculazione”.

Torniamo indietro al tempo dell’impero romano, allora l’Esquilino era un rione verde. Nella divisione amministrativa di Augusto l’Esquilino era diventato la Regio V, una regio cioè rione, nel quale in epoca repubblicana si trovava un cimitero ed in prossimità della attuale stazione Termini una discarica. Augusto bonificò tutto e fu così che si rese disponibile quel grande spazio verde nel quale sorsero quelle ville e giardini che i romani chiamavano Horti. Qui Mecenate amico di Augusto fece costruire i suoi Horti. E come lui anche Lamia ed altri ancora.

Nel corso del tempo questi Horti finirono nel demanio imperiale, perché il proprietario li lasciò in eredità all’imperatore, del quale era amico. Mecenate lasciò la villa ad Augusto, Lamia a Tiberio, e così via.
E questo spiega la ricchezza dei ritrovamenti ed anche il fatto che coprano un arco di tempo di qualche secolo. Lo stesso Tiberio, successore di Augusto visse a lungo nella villa di Mecenate e Caligola, successore di Tiberio, in quella di Lamia.

I ritrovamenti ci lasciano capire la straordinaria qualità delle opere raccolte nelle ville e nei giardini, ma oltre a questo poche sono le informazioni che abbiamo, della villa di Mecenate è stato individuato il ninfeo, noto come auditorio e poco più.
André Caron propone questa ricostruzione (www.maquettes-historiques.net).
Il fatto è che Lanciani riuscì a salvare il salvabile dall’aggressione edilizia, ma dato il brevissimo tempo concessogli non gli fu possibile produrre una documentazione dettagliata, nonostante fosse un eccellente topografo.

Vediamo dunque le opere che sono state salvate, ricomposte e restaurate, partendo dagli Horti di Mecenate, esposte in Campidoglio nel Palazzo dei Conservatori.
L’eccellente allestimento del 2005 è giocato tra il contrasto tra i fondi scuri e i marmi bianchi, mentre le luci creano un atmosfera emozionale, come vediamo con la statua di Marsia.
Questa spettacolare opera è una replica romana di un originale ellenistico del II secolo a.C. che richiama alla mente il Laocoonte Vaticano.
La drammatizzazione tipica del medio periodo ellenistico, lascia pensare che la mano sia la stessa. Ma la mano di chi? Dello scultore autore della replica o di Agesandro di Rodi che scolpì l’originale?
Certo è un’invenzione del replicatore l’idea di impiegare il marmo cosiddetto pavonazzetto, che con le sue venature violacee, mostra il supplizio (fu spellato vivo) al quale Apollo sottopose Marsia, reo di averlo sfidato ad una gara musicale.
In realtà gli autori delle repliche, per lo più sconosciuti, erano dei grandi artisti, non solo, ma poiché quasi tutti gli originali sono andati perduti è difficile immaginare quanto si debba agli autori delle repliche, quanto al volere del committente e in ultima analisi quanto sia fedele la replica allo scomparso originale.
Da notare le integrazioni fatte dai restauratori. Un lavoro incredibile, non per niente in Italia abbiamo i migliori restauratori del mondo.

Passiamo alla testa dell’Amazzone, ritrovata come Marsia vicino all’auditorio. L’originale bronzeo del 440 – 430 a. C. si deve ad un grande artista che partecipò ad un concorso, tra i migliori scultori del tempo, indetto dalla città di Efeso.
Mettendo a confronto il volto dell’Amazzone con quello di Marsia si vede chiaramente la differenza tra l’idealizzazione espressa dall’arte classica e la tensione esasperata che il medio ellenismo raggiunge due secoli dopo.

Passiamo a Virgilio, o presunto tale. D’altronde Virgilio era intimo di Mecenate, quindi è plausibile che nella villa ci fosse un suo ritratto.
Abbiamo visto un esempio di arte classica, uno di arte ellenistica ed ora con Virgilio abbiamo un esempio della ritrattistica romana, che si caratterizza per il suo realismo, lontano tanto dalla idealizzazione dell’arte classica, quanto dalla drammatizzazione del medio ellenismo.

Ancora di scuola romana è il ritratto di Faustina Maggiore moglie di Antonino Pio, a dimostrare che ancora dopo il 150 gli Horti di Mecenate erano in piena efficienza.
Un tipico esempio di scultura da giardino è quella del magnifico cane, mentre il Gruppo dell’Auriga dimostra quanto possa essere complesso il lavoro dell’archeologo: infatti, nel pieno della decadenza di Roma, molte sculture furono fatte a pezzi, impiegati come materiale da costruzione. Nel caso dell’Auriga non solo il Gruppo fu fatto a pezzi, ma questi furono ritrovati lontani centinaia di metri gli uni dagli altri. Si può immaginare quanto sia stato difficile capire che si trattava di frammenti appartenenti ad uno stesso gruppo.
Per fortuna la meravigliosa Demetra si è salvata; effettivamente è una delle più belle opere che abbiamo la fortuna di vedere. L’originale risale al V secolo a.C. quindi siamo nel pieno dell’età classica.

Dello stesso periodo è il Doriforo, replica dal grande Policleto.
E ancora di età classica, ma del IV secolo, sono tanto l’Eros, quanto l’Ercole Combattente.
Di poco posteriore, del 290 a.C. è la splendida Igea.
Parliamo sempre di repliche romane.
Mentre la Musa e il Menandro sembra che siano repliche romane riprese da rielaborazioni ellenistiche di originali di età classica.

A dirla tutta se gli Horti di Mecenate da soli meritano una visita ai Capitolini, quando vedremo gli Horti Lamiani resteremo stupefatti.

 

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