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FRANCESCO BORROMINI - II PARTE

Durante la costruzione dell’Oratorio dei Filippini, Borromini conobbe padre Virgilio Spada, filippino lui stesso, ma soprattutto elemosiniere e consigliere artistico del Papa. Lo Spada, persona di ampie vedute, grande studioso, rimarrà per tutta la vita accanto al Borromini, del quale apprezzava la devozione, l’onestà il disinteresse e secondo i contemporanei “si era invaghito dell’esattezza e della diligenza del Borromini”.

Tornando indietro al tempo della impossibile convivenza tra Borromini e Bernini quest’ultimo per toglierselo dai piedi, nel 1632 ottenne che Francesco fosse nominato architetto della Sapienza, l’antica Università fondata da Bonifacio VIII nel 1305.
Nomina a lungo più formale che sostanziale visto che, mancando i fondi, all’inizio Francesco poté occuparsi della sola manutenzione, mentre i lavori per la costruzione di Sant’Ivo alla Sapienza iniziarono nel 1642.

Palazzo Spada - clicca per ingrandire

Nel frattempo, nel 1635, gli fu affidato il restauro di Palazzo Spada in piazza Capo di Ferro, dove più tardi attorno al 1550 Borromini creò la famosa galleria prospettica, il cosiddetto “Inganno del Borromini”, inganno perché la galleria è giocata su una illusoria prospettiva, che ne dilata le proporzioni.

Nel 1636-37 ristrutturò l’interno di Santa Lucia in Selci. La chiesa, che faceva parte di un antichissimo monastero fortificato, era stata ricostruita agli inizi del seicento da Carlo Maderno.

L’intervento di Francesco sembra che si sia concentrato soprattutto nella volta, nella cantoria della controfacciata e nella decorazione della cappella della Trinità.

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Finalmente nel 1642 iniziarono i lavori per la costruzione di Sant’Ivo alla Sapienza.  
Ma come già era accaduto per la progettazione di San Carlino, lo spazio destinato alla chiesa era ben poco. Infatti Giacomo della Porta aveva costruito il Palazzo della Sapienza con il relativo cortile, dove sul lato corto di fronte all’ingresso su una ristretta area quadrangolare doveva sorgere la chiesa.
Francesco diede alla facciata di Sant’Ivo forma concava per abbracciare il cortile della Sapienza.

Ma ciò che colpisce in modo indimenticabile è la lanterna che si slancia verso il cielo.
La spirale della lanterna richiama sia forme gotiche che mitiche raffigurazioni della Torre di Babele, mentre le fiamme sul culmine simboleggiano la luce di Dio.

Il significato della spirale è stato ed è oggetto di accese discussioni. Noi convinti ci iscriviamo al partito di coloro che nella raffigurazione della gradinata e della spirale che fugge nel cielo, fino a smaterializzarsi, vedono il richiamo dell’uomo verso Dio, dove è noto il punto di partenza, ignoto quello di arrivo.

Una simile spregiudicata arditezza non poteva che suscitare orrore nei tradizionalisti, ma considerato che l’opera piaceva al Papa - siamo ormai arrivati nel 1660 con Alessandro VII Chigi - virarono sulla statica, dichiarando che la lanterna sarebbe crollata, trascinando nella sua rovina la cupola e tutto il resto.
L’unico risultato che ottennero fu che Francesco firmò la garanzia “obligo me, heredi et beni, per tutti i danni che potessero succedere in detto spazio di quindici anni”.

La pianta della chiesa ha la forma di una stella a sei punte, risultato della sovrapposizione di due triangoli equilateri contrapposti (il sigillo di Salomone), raccordati da archi di cerchio alternativamente concavi e convessi.
Le pareti si ergono verticali seguendo il perimetro della pianta, per terminare nella trabeazione sulla quale poggia la cupola a sei lobi. Nella cupola si aprono sei finestre che illuminano l’interno.

Le pareti - clicca per ingrandire La cupola - clicca per ingrandire Le finestre - clicca per ingrandire

La lanterna, perfettamente circolare, simboleggia Dio che illumina i Cristiani.

Da notare la diversità tra le forme della cupola e della lanterna all’interno ed all’esterno.
All’interno la cupola ha sei lobi a sesto acuto, mentre all’esterno è nascosta dal tamburo e dal tetto gradinato; la lanterna all’esterno è formata da sei pareti concave finestrate, mentre all’interno, come abbiamo visto, ha una sezione circolare dalla quale scende la luce proveniente dalle sei finestre esterne.
Straordinario è l’effetto luminoso sul bianco delle pareti, illuminato dalle finestre del tiburio (a differenza del tamburo sul quale poggia la cupola, il tiburio la contiene al proprio interno) e dalla lanterna.

Nella cupola sopra a tre finestre è disegnato lo stemma della famiglia Chigi, formato da sei monticelli sovrastati da una stella, con riferimento a Papa Alessandro VII Chigi, che nel 1670 consacrò la chiesa.
L’unica macchia di colore dell’interno è la pala d’altare di Pietro da Cortona e aiuti che raffigura Sant’Ivo patrono dei giureconsulti.

Borromini progettò anche la Biblioteca Alessandrina, (da Alessandro VII) che si affaccia sulla sinistra del cortile del palazzo della Sapienza e le facciate del palazzo su piazza sant’Eustachio e via del Teatro Valle.

Intanto, mentre Francesco lavorava a Sant’Ivo, nel 1644 moriva il filo francese Urbano VIII Barberini. Sul soglio di Pietro salì Innocenzo X Pamphili, filo spagnolo e fieramente ostile ai Barberini. Sembrò allora che le fortune di Borromini e Bernini dovessero cambiare radicalmente.

All’inizio fu così.

Ma durò poco: Bernini, uomo di mondo, riuscì ad entrare nelle grazie della potente cognata del Papa, Olimpia Maidalchini, che il popolino sobillato dal partito filo Barberini e filo francese chiamava la Pimpaccia.
Si narra che Bernini per guadagnare il suo appoggio le regalò un modellino d’oro della fontana dei Quattro Fiumi, la cui costruzione di lì a poco gli fu commissionata dal Papa. La chiacchiera fu messa in giro per diffamare la Pimpaccia, ma ancora oggi c’è chi ci crede. 

Comunque sia Innocenzo X appena divenuto Papa, affidò a Francesco la costruzione del Palazzo di Propaganda Fide, togliendo l’incarico a Bernini, che aveva realizzato la non memorabile facciata del palazzo che dà su piazza di Spagna.

Francesco si mise all’opera, realizzando uno dei più bei palazzi di Roma. Purtroppo via di Propaganda, sulla quale prospetta la facciata borrominiana è così stretta che gran parte dei turisti passano senza guardarla.
Ed è un vero peccato.

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Facciata Finestre Finestra centrale Cherubino Ingresso Conchiglia

Noi invece guardiamo di striscio la facciata, per soffermarci poi sulle finestre al primo piano. Le prime 3 inquadrate dalle belle colonne sono concave, mentre la finestra centrale sporge convessa sotto al cornicione concavo.
Sopra alle finestre si vedono corone di palme e di querce e dalla corona della finestra centrale si affaccia sorridente un cherubino, mentre sopra all’ingresso al di sotto della finestra si vede una conchiglia, che racchiude la perla della Fede.

Il palazzo è così ricco di particolari che si potrebbe passare una giornata a studiarlo. Qualcuno, non ricordo chi, ha detto che sembra una scultura michelangiolesca che si liberi dalla massa inerte.

Ma il paradosso più divertente è che in angolo con il palazzo di Propaganda abitava Bernini, che non apprezzò la vicinanza. Lo storico Guattani a fine settecento dice che “il bizzarro e capriccioso Bernini diede forma di fallo ad una mensola che reggeva il balcone contiguo al palazzo di Propaganda”. Per deriderlo Borromini rispose mettendo nello stemma del Papa due orecchie asinine.

Purtroppo le autorità fecero rimuovere gli ornamenti. Per concludere con il Palazzo di Propaganda, Borromini ci lavorò fino al 1664, quando all’interno demolì una cappella costruita da Bernini, per far posto alla sua cappella dei Re Magi.

Torniamo a Papa Innocenzo X che attendeva con preoccupazione l’atteso giubileo del 1650, una preoccupazione ben motivata visto che l’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano, tra saccheggi, incendi e terremoti, nonostante vari restauri era in condizioni critiche.
Che fare? Papa Innocenzo nominò sovrintendente ai lavori per il rifacimento dell’Arcibasilica Virgilio Spada, che naturalmente si affidò all’amico Borromini.
Tempi strettissimi, Francesco iniziò i lavori nel 1646, con obbligo di consegna per il 1649. Il coro dei nemici di Francesco si mise all’opera: “quel pazzo farà crollare tutto”, “mai riuscirà a completare l’opera”, “meno che mai per il giubileo”.

E via di questo passo.

Invece Francesco superò ogni problema. Per prima cosa affrontò il problema della statica. Pensò che se avesse rimosso le colonne ioniche della navata centrale il rischio crolli sarebbe stato troppo grande.

Allora visto che le colonne per stare in piedi erano sostenute da una orrida incamiciatura di mattoni, costruì dei pilastri giganteschi, delimitati da alte paraste che salgono fino al soffitto. E questi giganteschi pilastri, all’interno inglobavano le fatiscenti colonne.

Tra i pilastri aprì cinque grandi arcate, attraverso le quali si potesse passare nelle navate laterali.
Tra le paraste disegnò le dodici nicchie, con timpano convesso, nelle quali entro il 1718, a cura dei migliori scultori tardo barocchi, furono collocate le statue dei dodici apostoli.

Da notare che le colonne delle nicchie, di verde antico, si trovavano nelle navate laterali e a Borromini era stato chiesto di salvare il salvabile dell’antica chiesa. Per una volta Francesco, probabilmente per accontentare il Pontefice, oltre alle colonne verdi, impiegò nelle nicchie marmi policromi, che avrebbero costituito il fondo sul quale si sarebbero staccate le bianche statue.

Sopra alle nicchie, secondo il progetto borrominiano, il grande Alessandro Algardi disegnò sei episodi del Vecchio e sei del Nuovo Testamento e ancora più su vediamo gli ovali settecenteschi dove sono dipinti i Profeti.

Per la verità Borromini voleva che i festoni degli ovali inquadrassero nudi mattoni e sappiamo il virtuosismo di Francesco nel lavorarli e avrebbe anche voluto rimuovere il soffitto per sostituirlo con una bianca volta.
Ma Innocenzo X fu irremovibile, il soffitto non si doveva toccare. Va detto che Innocenzo X era noto per il carattere irascibile.
Francesco passò poi alle navate laterali, che hanno altezze decrescenti, passando dalla più alta navata centrale, alle navate mediane ed alle più basse navatelle laterali.

In questo modo Francesco riuscì ad aprire finestre e finestrelle per dare luce all'interno.

Navate e navatelle furono tutte rifatte, bianche secondo il più puro stile borrominiano.
E per finire l’impossibile divenne possibile, nel 1649 l’Arcibasilica era pronta per il Giubileo.

I nemici di Francesco masticarono amaro.
Padre Virgilio Spada si tolse un bel peso dalle spalle.
Ma la storia ebbe un risvolto drammatico perché in una stanza del Palazzo Laterano, a fine lavori, era stato trovato il cadavere di tal Marco Antonio Bussoni, che era stato sorpreso a danneggiare gli ornamenti marmorei della basilica. Borromini aveva ordinato agli operai di legarlo e chiuderlo in una stanza del palazzo. Gli operai imbestialiti percossero il Bussoni al punto d’ammazzarlo e Borromini finì sotto processo.
Per ordine del Papa fu assolto, ma esiliato per 3 anni a Orvieto. Virgilio Spada si prodigò e l’esilio fu assai più breve, tanto che il 26 Luglio 1652 Innocenzo X gli pose al collo la croce d’oro di cavaliere e secondo la testimonianza di uno dei presenti “accomodando l’azione con parole tutte piene di gradimento e di lode di sue virtù”.

SEGUE

 

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