I –Pompeo fuggiva a Durazzo, mentre a noi mancavano  le navi per inseguirlo, ebbe così il tempo di indire nuove leve e di  organizzarsi.
                 Intanto, mentre Cesare era in Gallia, gli  Ottimati avevano preso il comando in Spagna, in Sardegna, in Sicilia e nella  provincia d'Africa (corrispondente a parte della Libia, alla Tunisia  ed a parte dell’Algeria).
                 Poiché in Spagna i Pompeiani avevano dislocato  otto legioni, Cesare, per evitare che potessero invadere la provincia  Narbonense e poi l'intera Gallia, decide di partire per la Spagna, in pari  tempo manda in Sardegna Gaio Valerio
                  con una legione e in Sicilia con tre legioni Gaio  Scribonio Curione, con l'ordine di passare in Africa, appena cacciati i Pompeiani.
                 Gli abitanti di Carali (Cagliari) appena  vengono a sapere dell'imminente arrivo di Valerio, cacciano il governatore  Marco Cotta, che fugge in Africa.  
                  In Sicilia il governatore Marco Catone cerca di formare  un esercito, facendo la leva anche in Lucania e nel Brutio.
                  Mentre completava queste operazioni viene a  sapere che Curione sta per arrivare, decide allora di convocare a  Siracusa il senato della provincia.
                 Presa la parola dice di essere stato mandato allo  sbaraglio e ingannato da Pompeo, che, dopo essersi vantato di aver organizzato  ogni cosa, impreparatissimo aveva intrapreso una guerra non necessaria.
                Lamentate tali cose nell’assemblea  fugge dalla provincia.
                 
                 II – Dopo aver ordinato  di requisire navi e di farle arrivare a Brindisi, per imbarcare le legioni da  mandare in Spagna, Cesare si dirige a Roma.
                 Qui giunto convoca il Senato, rende noto di aver  tentato ripetutamente di arrivare ad un accordo con i suoi avversari e con  Pompeo in particolare, ma ogni sua proposta di incontro era stata rifiutata, o  peggio ignorata.
                Tuttavia si è ancora a tempo per evitare la  guerra, propone quindi di mandare ambasciatori a Pompeo.
                  Il Senato approva la proposta, ma non si trova  nessun senatore disposto a fare da ambasciatore, perché Pompeo, prima di  lasciare Roma, aveva detto che avrebbe considerato nemico chi non lo seguiva.
                  Persi inutilmente tre giorni, Cesare parte per la  provincia Narbonense.
                 Qui giunto scopre che i Marsigliesi sono passati  dalla parte di Pompeo.
                A Marsiglia, condannato per omicidio, era andato  in esilio Tito Annio Milone,
                  che con la sua banda a Roma aveva perseguitato i  Cesariani, fino ad arrivare ad uccidere Clodio. Evidentemente Milone aveva  trascinato i Marsigliesi contro Cesare e per rafforzarsi aveva chiamato in suo  aiuto quel Domizio Enobarbo, 
                  genero di Catone, che Cesare aveva graziato a  Corfinio.
                
                  
                    |  |  | 
                  
                    | Tito Annio Milone | Domizio Enobarbo | 
                
                 Presa questa decisione i Marsigliesi si preparano all'assedio,  ammassando frumento e arruolando soldati tra i bellicosi Albici (tribù montanara che abitava i colli attorno a  Marsiglia).
                 Arrivato Domizio con una decina di navi,  immediatamente gli viene affidato il comando della città.
                  Cesare fa arrivare tre legioni a Marsiglia e la  cinge d'assedio.
                Ad Arelate (Arles) fa costruire dodici navi da guerra, varate in  trenta giorni, affida a Decimo Bruto il comando della flotta e a Gaio Trebonio quello  dell'esercito. 
                Intanto manda Gaio Fabio in Spagna con le tre legioni che svernavano a  Narbona, ordinandogli di occupare i valichi dei Pirenei, dove si trovavano dei  presidi Pompeiani.
                
                  
                    |  |  | 
                  
                    | Decimo Bruto | Gaio Fabio | 
                
                Fabio cacciati i presidi, a  marce forzate si porta contro l'esercito di Afranio, per impedirgli di riprendere  i Pirenei.
                 
                III – I Pompeiani erano così dislocati: Afranio con tre  legioni occupava la Spagna Citeriore (i  territori a nord dell'Ebro, con l'attuale Catalogna), Marco  Petreio con due legioni la Spagna Ulteriore e Marco Terenzio Varrone con due  legioni la Lusitania. 
                Potevano inoltre contare su trenta coorti di fanti  ausiliari Spagnoli (circa 13 mila  uomini) e cinquemila cavalieri. Cesare poteva disporre di sei legioni,  seimila fanti ausiliari, tra i quali i fortissimi Germani e tremila cavalieri,  che avevano combattuto in Gallia sotto le sue insegne, inoltre dalla Gallia  recentemente pacificata erano arrivati altri tremila valorosissimi cavalieri,  mentre dalla eccellente stirpe degli Aquitani erano venuti duemila uomini.
                 Pertanto in Spagna con i nostri trentacinquemila  fanti e seimila cavalieri fronteggiavamo  cinquantamila fanti e cinquemila cavalieri avversari.
                 Venuto a conoscenza dell'arrivo di Gaio Fabio, Petreio parte con le sue truppe dalla Spagna Ulteriore  per unirsi ad Afranio. 
                
                  Petreio
                Per la favorevole posizione decidono di attestarsi a  Llerda (oggi Lleida in Catalogna), che circondata da colline e lontana dal mare si trova sulle rive del fiume Sabris (oggi Segre), dove un ponte di pietra consente loro un sicuro  attraversamento. 
                
                Probabilmente i Pompeiani, poiché dominavamo il mare, avevano preferito porre il campo nelle zone interne, ma  così lasciarono a Fabio il controllo della costa con le importantissime città  di Tarraco (Tarragona) e  Barcino (Barcellona).
                Fabio mentre avanzava verso  Llerda portò dalla sua parte le popolazioni locali, ottenendo così il duplice  risultato di non avere nemici alle spalle e di garantirsi i rifornimenti. 
                 
                IV – Arrivato in prossimità dei Pompeiani, Fabio,  raggiunto dalle truppe raccolte da Cesare si fortifica sulla riva del Sicoris e  poco dopo costruisce due ponti, a distanza di quattro miglia (circa 6 km) l'uno dall'altro e quasi  ogni giorno fa attraversare il fiume da due legioni, per foraggiare in campo  nemico, limitando così ai Pompeiani la possibilità di rifornirsi.
                 Nei giorni che seguono si succedono piccoli  scontri, i Pompeiani sentendosi inferiori ai nostri non sfruttano il loro  predominio numerico.
                 Cesare avendo organizzato ogni cosa lascia  Narbona e con una scorta di novecento cavalieri raggiunge Fabio.
                  Non volendo perdere tempo il giorno appresso  attraversa il ponte più vicino con tre legioni e si porta alle falde del colle  sul quale si era accampato Afranio, offrendo battaglia, ma questi la rifiuta. 
                Infine dopo tre giorni si arriva allo scontro, concluso con esito incerto: gli  Afraniani esultavano perché, pur essendo considerati inferiori ai nostri,  avevano resistito, noi ci consideravamo vincitori perché pur essendo inferiori  di numero e avendo combattuto su terreno sfavorevole li avevamo cacciati dietro  alle mura di Llerda. 
                Nello scontro dei nostri  perirono settanta soldati e il centurione Quinto Fulginio, uomo di  straordinario valore, ma ben seicento furono i feriti. Dei Pompeiani cadde il  centurione primipilo Tito Cecilio, altri quattro centurioni e duecento soldati,  innumerevoli furono i feriti.
                 
                V – Due giorni dopo, scoppia una tempesta di violenza  mai vista.
                 Si sciolgono le nevi sulle montagne vicine. I  fiumi straripano e il Sicoris spazza via entrambi i ponti costruiti da Fabio.
                 
 
                Ci troviamo in una situazione critica, poiché il  nostro accampamento si trova tra il Sicoris e un suo affluente (il Cinca), che  scorre a trenta miglia di distanza e non possiamo attraversare ne l'uno, ne  l'altro. 
                 Restiamo tagliati fuori dai rifornimenti.
                 La piena dura parecchi giorni, impedendoci di  ricostruire i ponti.
                  Mentre con Cesare eravamo bloccati, arriva dalla  Gallia un grande convoglio con abbondanti rifornimenti, ma per la mancanza di  ponti resta sull'altra riva.
                 Afranio, avutane notizia, parte dal campo in  piena notte, attraversa il ponte di pietra, davanti a Llerda, con la cavalleria  e tre legioni per impadronirsi del convoglio.
                Ma i cavalieri Galli che con gli arcieri Ruteni  facevano da scorta, pur di gran lunga inferiori di numero resistono bravamente.  Nello scontro dei nostri amici Galli caddero circa duecento arcieri, pochi  cavalieri e pochissimi bagagli andarono perduti.
                 Tuttavia Afranio e Petreio scrivono a Roma ai  loro seguaci ed esagerando la portata dei fatti, annunciano che avevano in loro  potere Cesare e il suo esercito. Subito si diffonde la convinzione che la  guerra stia per finire. 
                In tali frangenti, quei  senatori che fino ad allora erano rimasti a Roma in attesa degli eventi, si  affrettano a raggiungere Pompeo, per non essere accusati poi di tradimento. 
                 
                VI – Cesare era vivamente preoccupato per la sorte dei  Galli venuti in suo soccorso, temeva che non potendo resistere a lungo  all'assedio di Afranio, sarebbero stati massacrati, ma era impossibile  ricostruire i ponti per la piena e perché le opposte rive erano presidiate  dagli uomini di Afranio. 
                 Allora ordina di costruire in tutta fretta delle  imbarcazioni leggere, simili a quelle che aveva visto in Gallia. Appena pronte,  di notte, le fa trasportare su carri ventidue miglia lontano dal campo, con  queste attraversa il fiume e sorprendendo i Pompeiani occupa il colle prossimo  alla riva e lo fortifica, prima che i nemici se ne accorgano.
                 Ciò fatto vi manda una legione e controllando  entrambe le rive del fiume in due giorni costruisce un ponte, mettendo in salvo  il convoglio arrivato dalla Gallia, che secondo il costume dei Galli era  formato da un grandissimo numero di carriaggi sui quali oltre ai rifornimenti  avevano portato anche le loro donne.
                 Lo stesso giorno fa attraversare il ponte dalla  cavalleria che assale gli ignari foraggiatori di Afranio. Sono catturati molti  uomini e molti animali da soma, una coorte nemica venuta in soccorso viene del  pari catturata, infine per lo stesso ponte i cavalieri ritornano nel campo  incolumi dal primo all’ultimo.
                Spaventati dal valore dei  nostri cavalieri i soldati di Afranio, non osarono più foraggiare di giorno, ma  si limitarono a farlo di notte con grande pericolo e scarsi risultati. 
                 
                VII – Visto che Cesare era a capo delle proprie truppe,  si sparge la voce che Pompeo sarebbe arrivato in Spagna con altre legioni,  passando per l'Africa, per prendere il comando.
                 Ma intanto gli Oscensi (abitanti della attuale Uesca in Aragona), i Calagurritani (abitanti della attuale Loarre in Aragona), i Tarraconesi (Tarragonesi), gli Iacetani (abitavano  nel nord dell’Aragona e della Catalogna), gli Ausetani (abitavano nel nord della Catalogna), gli Illurgavonesi (abitavano sulla riva destra dell’Ebro) mandano messi per dire a Cesare che erano pronti  ad obbedire ai suoi ordini.
                 Cesare al fine di evitare che la nostra  cavalleria, per attaccare le truppe di Afranio, dovesse fare un lungo giro,  passando attraverso il ponte appena costruito, che come detto si trovava a  ventidue miglia dal nostro campo, ordina che si scavino dei canali, per deviare  parte del Sabris ed abbassando il livello delle acque, formare un guado.
                Appena i lavori furono ultimati, Afranio e  Petreio, temendo che tagliassimo loro ogni possibilità di rifornimento, data la  superiorità della nostra cavalleria, decidono di ritirarsi abbandonando Llerda  e le rive del Sicoris, per spingersi verso l'Ebro ed attraversarlo diretti verso le terre dei Celtiberi, dove contavano di arruolare un gran numero  di cavalieri.
                Allo scopo requisiscono  lungo l'Ebro un gran numero di imbarcazioni, le concentrano ad Octogesa (Mequienza),  che dista venti miglia dal loro campo e apprestato un ponte di barche mandano  avanti due legioni, che attraversato l'Ebro, si fortificano sulla riva destra. 
                Appreso che Cesare era riuscito ad abbassare le acque del Sabris, abbandonano a  Llerda due coorti di ausiliari e decidono di partire con tutto il resto  dell'esercito.
                  
                VIII – Intanto la voce che Pompeo sarebbe arrivato in  soccorso era svanita.
                 Pertanto Afranio e Pompeo decidono di ritirarsi  rapidamente e alla terza vigilia (tra  mezzanotte e le tre di mattina), abbandonano Llerda, ma mentre sono in marcia la  loro retroguardia è raggiunta dalla nostra cavalleria. I nostri vedendo dalle  alture i nemici in fuga, scongiurano Cesare di mandarli all'attacco.
                 Alle  preghiere dei soldati si uniscono quelle dei centurioni, Cesare consente che si  attraversi il Sabris, in quel punto dove avevamo formato un non facile guado.  Dispone i cavalieri a valle della colonna dei fanti, per raccogliere chi venisse  travolto dalle acque.
                 In tal modo si attraversa il fiume senza perdere  un solo uomo.
                 I soldati si mettono in marcia con tale ardore  che all'ora nona (poco dopo  le 3 del pomeriggio) raggiungono gli Afraniani che si erano mossi  dodici ore prima e non avevano dovuto guadare il fiume.
                  Afranio e Petreio sorpresi dalla rapidità dei  nostri sono costretti a fermarsi. Occupano un colle e si schierano in ordine di  battaglia.
                 Ma Cesare soddisfatto di aver costretto i nemici  alla sosta, preferisce far riposare i nostri.
                  I Pompeiani per difendersi dalla nostra  cavalleria erano intenzionati ad addentrarsi nelle vicine montagne, ma spossati  dai continui attacchi sono costretti a fermarsi per riposare.
                 Verso mezzanotte da alcuni soldati nemici,  catturati mentre si erano allontanati dal campo per fare provvista d'acqua,  Cesare viene a sapere che Afranio conduceva silenziosamente fuori dal campo le  sue truppe.
                Viene dato l'allarme.
                I nemici sentito il suono  delle trombe, temendo di essere attaccati dalla nostra cavalleria mentre  procedevano impacciati dagli zaini, rinunciano alla partenza e rientrano nel  campo.
                 
                 IX – Quella stessa notte  Afranio e Petreio convocano il consiglio di guerra, per decidere se muovere il  campo di notte oppure il mattino seguente. 
                 Temendo che con il  favore dell’oscurità parte degli ausiliari avrebbe disertato, stabiliscono di  partire all’alba del giorno dopo.
                 Appena si mettono in  marcia la loro retroguardia è attaccata dalla nostra cavalleria, per portare  loro soccorso fermano i soldati per respingere i cavalieri. Subito dopo cercano  di allontanarsi di gran corsa, ma vengono nuovamente incalzati dai nostri.  Procedendo in tal modo per tutto il giorno avanzano di solo quattro miglia.
                  Cesare ai primi albori  effettuata una ricognizione fa uscire l’esercito dal campo e poiché tutte le  strade per Octogesa e l’Ebro erano occupate dagli Afraniani, segue un percorso  aggirante.
                 Gli Afraniani vedendo  che ci allontanavamo da loro, pensano che rimasti senza viveri siamo costretti  a ritirarci.  
                  Lieti si congratulano  per le decisioni prese.
                Ma all’improvviso  vedono che la nostra colonna piega verso destra e che i primi erano già oltre  al loro campo, danno l’allarme e corrono verso le gole e i monti che si  frappongono tra il loro campo e l’Ebro.
                 Era questa una gara di  velocità tra noi e gli Afraniani. Per noi la strada era più difficile, ma i  nemici erano ostacolati dalla nostra cavalleria.
                  La situazione per gli  Afraniani era comunque critica, infatti seppure fossero giunti per primi sui  monti, avrebbero comunque perso i bagagli e le coorti lasciate a presidio del  campo.
                 Ma fu Cesare a giungere  per primo.
                 Afranio tenta di  occupare con la fanteria leggera un colle vicino, ma questa è intercettata  dalla nostra cavalleria.
                I  fanti non reggono neppure al primo scontro, circondati sono uccisi o catturati  sotto gli occhi di entrambi gli eserciti.  
                 
                 X – Afranio e Petreio  costretti ad accamparsi lontani dalle acque, decidono di costruire un vallo per  arrivare alle fonti senza pericolo.
                 Per seguire i lavori si  allontanano dal campo.
                 Partiti i comandanti i  soldati escono in massa dal campo e ciascuno cerca e chiama il compaesano che  ha tra i nemici.  
                  Si informano se possono  fidarsi della parola di Cesare.
                 Viene data loro assicurazione,  allora chiedono la grazia non solo per se stessi ma anche per i loro  comandanti, non volendo tradirli. Lo stesso fanno i capi Spagnoli che cercano  nel nostro campo chi li presenti a Cesare.
                  Anche il giovane figlio  di Afranio tratta con Cesare per il tramite del legato Sulpicio.
                 Afranio informato dei  fatti rientra nel campo disposto a sopportare con animo sereno ogni evenienza.
                  Ma Petreio, cieco e  sordo ad ogni voce ragionevole, rientra al campo con la sua coorte pretoria, fa  uccidere i legionari di Cesare che incontra mentre si erano trattenuti con i  compaesani nel campo.
                La maggior parte,  nascosti nelle tende, vengono fatti fuggire di notte.  
                 La parola torna alle  armi.
                Cesare  lascia liberi i soldati nemici che si trovano nel nostro campo, ma non pochi  tribuni e centurioni chiedono di rimanere presso di lui. Cesare manifesta loro  la sua gratitudine e li conferma nelle rispettive cariche.
                 
                XI – La follia di Petreio  mise i Pompeiani in una situazione disperata. Impossibilitati ad avanzare,  tagliati fuori dai rifornimenti, Afranio e Petreio decidono di tornare a  Llerda, poiché là avevano lasciato un po’ di frumento.
                 Ma anche la ritirata è  ostacolata dalla nostra cavalleria. 
                 Alla retroguardia si  combatte accanitamente, degli Afraniani cadono molti soldati ed alcuni  centurioni.
                  L’esercito di Cesare  incombe per ogni dove.
                  I Pompeiani non potendo  continuare la marcia sono costretti ad accamparsi in un luogo lontano dalle  acque.
                 Cesare preferisce  vederli tormentati dalla sete e dalla fame e costretti a piegarsi alla resa  piuttosto che combattere contro di loro, poiché gli ripugna fare strage di  cittadini Romani.
                  Per togliere loro ogni  possibilità di contrattacco Cesare fa costruire un fossato ed un vallo.
                 Messi alle strette, da  tre giorni senza foraggio per le bestie da soma ed essi stessi senza acqua né  cibo Afranio e Petreio chiedono un  colloquio con Cesare, senza la presenza dei soldati.
                 Cesare concede il  colloquio ma solo se avviene pubblicamente.
                  Viene dato in ostaggio  il figlio di Afranio.
                 Alla presenza dei due  eserciti prende la parola Afranio, dice che non era giusto infierire su di  loro, la cui unica colpa era stata quella di essere stati fedeli al loro  comandante Pompeo. Se c’era ancora posto alla pietà implora Cesare di non  punirli con l’estremo castigo.
                 
                XII – Cesare risponde che  nessuno meno di loro, Petreio e Afranio, avevano diritto a chiedere pietà.
                 Avevano fatto uccidere soldati che inermi e fiduciosi, in un momento di tregua  si erano recati nel loro campo.
                  E che doveva dire lui  stesso?
                 Perché erano state  mandate in Spagna sei legioni oltre a quelle che già vi si trovavano?
                  La Spagna era  pacificata, perché dunque questo dispiegamento di forze se non per la sua  rovina?
                  Contro di lui erano  state violate tutte le leggi e tutte le consuetudini.
                 E perché mai comandanti  esperti come loro erano stati mandati in Spagna, senza nessuna necessità per la  Repubblica?
                Non conveniva a loro  cercare di destare compassione.
                  Di clemenza avevano  diritto i soldati di ogni ordine, che per l’arroganza e l’ostinazione dei  propri capi, nemici della pace, avevano dovuto sopportare ogni sorta di  sofferenze.   
                 Tuttavia non intende  approfittare della loro umiliazione per aumentare le proprie forze, quindi la  sua unica condizione di pace è che essi congedati gli eserciti (ciò comportava che i Pompeiani pagassero lo stipendio  dovuto ai soldati) se ne vadano dalla  Spagna.
                 A questa condizione non  avrebbe fatto male a nessuno.
                 Un grande boato di  gioia accoglie le parole di Cesare.
                  I soldati di Afranio  mentre temevano per la propria vita vedono aprirsi le porte della salvezza.
                La campagna di Spagna  era durata quaranta giorni.
                Le nostre perdite  furono minime.
                 Cesare non volle fare  strage dei Pompeiani, non voleva annegare in un fiume di sangue cittadini  Romani, non voleva che l'odio e la vendetta dilagassero, come sempre era  avvenuto nelle guerre civili.
                  Aveva dimostrato che il  suo esercito, maturato in otto anni di guerra combattuti su ogni terreno, contro  nemici fortissimi, era invincibile.
                 Sapeva che i soldati di  Afranio, congedati per sua volontà, tornati incolumi in patria, avrebbero  lodato la sua clemenza ed esaltato la forza del suo esercito.
                 Dopo questi avvenimenti  in Spagna, nelle Gallie, in Italia, in Sardegna e in Sicilia, i Pompeiani non  avrebbero più trovato nessuno disposto a prendere le armi contro Cesare.     
                 
                XIII – Qualche  tempo prima Marco Varrone, che a causa della  partenza di Petreio per Llerda si era spostato dalla Lusitania nella Spagna  Ulteriore, dapprima aveva assunto una posizione equidistante tra Pompeo e  Cesare; ma quando seppe che Cesare era stato trattenuto a Marsiglia e  successivamente, informato da Petreio delle difficoltà di approvvigionamento  dei Cesariani, passò decisamente nel fronte Pompeiano. 
                
                  Marco Varrone
                Indetta una leva in  tutta la provincia, vi aggiunse trenta coorti ausiliarie, raccolse una gran  quantità di grano per Afranio e Petreio e per i Marsigliesi, ordinò ai Gaditani (gli abitanti dell’attuale Cadice) di costruire dieci navi da guerra e altrettante  ordinò che si costruissero ad Hispalis (l’attuale Siviglia), costrinse i cittadini  Romani della provincia a promettergli diciotto milioni di sesterzi, raccontando  che Cesare era stato abbandonato da gran parte del suo esercito.
                 Quando venne a sapere  della sconfitta di Afranio e Petreio decise di recarsi con due legioni a Gades,  dove intendeva concentrare le navi e tutto il frumento.
                Cesare, sebbene urgenti  motivi lo spingevano a rientrare in Italia, tuttavia non voleva che in Spagna  restassero focolai di guerra, pertanto mandate nella Ulteriore due legioni  comandate da Quinto Cassio Longino, il tribuno della plebe,  avanza a marce forzate con seicento cavalieri verso Corduba, dove convoca i  magistrati di tutte le città. 
                
                  Quinto Cassio Longino
                Per parte loro gli abitanti di Corduba, chiudono  le porte a Varrone ed essendo capitate per caso due coorti arruolate tra i  coloni Romani, le trattengono per difendere la città dai Pompeiani.
                 Questi avvenimenti  spingono Varrone ad affrettarsi verso Gades con le sue due legioni, ma mentre  stava in marcia viene informato che i capi Gaditani d’accordo con i tribuni  delle coorti di presidio erano passati dalla parte di Cesare.
                Appena questi  fatti sono noti una delle sue legioni detta Vernacula (indigena), poiché formata da Spagnoli, lascia Varrone e con  tutte le insegne si reca ad Hispalis, accolta benevolmente dai cittadini  Romani.
                  Varrone, vistasi  preclusa ogni strada, fa sapere a Cesare di essere pronto a consegnare la sua  legione a chi gli avrebbe mandato.
                 Consegnata la legione  Varrone si reca da Cesare a Corduba, gli fa un leale rendiconto della  situazione finanziaria della provincia, gli consegna il denaro in suo possesso,  indica dove ha ammassato il grano e dove sono le navi.
                Cesare in un discorso  pronunciato a Corduba ringrazia i cittadini Romani per il loro aiuto, gli  Spagnoli perché avevano cacciato i presidi Pompeiani, i centurioni perché si  erano schierati con gli Spagnoli. Restituisce le somme e i beni confiscati da  Varrone. 
                Dopo essersi trattenuto due giorni a Corduba parte per Gades, dove  rimette nel pubblico erario le somme prelevate da Varrone, ringraziati i  Gaditani per il loro aiuto, nominato Cassio governatore della provincia, si  imbarca su una delle navi fatte costruire da Varrone e via mare arriva a  Tarragona dove ambasciatori di varie città attendevano il suo arrivo.
                Tributati  riconoscimenti pubblici e privati secondo il merito, lascia Tarragona e per via  di terra arriva a Narbona e poi a Marsiglia dove apprende che a Roma il pretore  Marco Emilio Lepido lo ha nominato dittatore (per la nomina dei consoli).
                 
                XIV -  In precedenza a Marsiglia, su ordine di  Domizio, vengono armate altre diciassette navi da guerra e per incutere timore  a Decimo Bruto vengono messe in mare molte altre imbarcazioni più piccole.
                 Bruto disponeva di un  numero di navi molto minore, ma su queste Cesare aveva fatto imbarcare i più  valorosi dei legionari e dei centurioni.
                Confidando sul numero  delle loro navi e sull’abilità dei piloti, i Marsigliesi vengono all’attacco  dei nostri che si erano ancorati nell’isola di fronte a Marsiglia (Ratonneanu). Ma nonostante schierino  il doppio delle navi e per quanto le nostre imbarcazioni fossero molto più  lente, a causa del legno ancora verde con le quali erano state di recente  costruite, tuttavia prevalse il valore. 
                In questa battaglia furono messe fuori  combattimento nove navi nemiche, tra quelle affondate e quelle catturate.
                  Grande fu la delusione  di Domizio che pensava di liberare la via del mare  e avere una agevole via di comunicazione con  le forze Pompeiane.
                 Vinti i Marsigliesi sul  mare, Gaio Trebonio comincia l’assedio della città da terra.  
                  Pompeo invia in  soccorso dei Marsigliesi Lucio Numidio con diciassette navi, che, mandata in  avanscoperta una agile imbarcazione, sollecita i Marsigliesi a resistere in  attesa del suo arrivo.
                I Marsigliesi  rincuorati, tirano fuori dai cantieri vecchie navi, le riparano e avendo a  disposizione molti e abili piloti si preparano ad affrontare Bruto.
                  Ma se potevano armare  nuove navi, non potevano trovare combattenti fortissimi come i nostri.
                 Bruto aveva aumentato  la propria flotta con le sei navi che aveva preso ai Marsigliesi nella  precedente battaglia.
                  Dal campo di Trebonio  si vedeva tutto ciò che avveniva in città: giovani, donne anziani, prostrati  davanti alle statue degli dei imploravano la vittoria.
                 La nave di Decimo  Bruto, che si poteva riconoscere per il vessillo è attaccata dai nemici, ma  nella foga dell'assalto due imbarcazioni nemiche si scontrano e affondano.
                La battaglia infuria  con esito nefasto per i Marsigliesi, cinque delle loro navi sono affondate,  quattro catturate.
                  Nasidio, vista la piega  presa dallo scontro, si dà alla fuga.
                 
                XIV – Vinti sul mare i Marsigliesi si rinserrano dietro  le loro possenti mura per resistere all'assedio. 
                 I nostri legionari, che sotto la guida di Cesare  avevano imparato a costruire ogni specie di opera, si mettono al lavoro,  innalzano una torre che sovrasta le mura della città, in breve tempo lavorando  ininterrottamente notte e giorno costruiscono un terrapieno e una galleria.
                 Quando tutto è pronto parte l'attacco alle mura.
                Mentre dalle torri si scagliano frecce e  proiettili, i legionari dalla galleria scalzano molte pietre della più vicina  torre nemica, che all'improvviso crolla.
                 Presi dal panico i maggiorenti della città escono  inermi, cinte le fronti con le bende sacre (bende bianche e rosse con le quali i supplici chiedevano protezione), chiedono  una tregua a Gaio Trebonio, in attesa che arrivi Cesare.
                 In precedenza Cesare aveva scritto a Trebonio di  fare il possibile per evitare che i soldati esacerbati dal tradimento dei  Marsigliesi, entrassero in città e facessero una strage.
                 Trebonio accorda la tregua, suscitando il forte  malcontento dei soldati, che volevano farsi giustizia.
                 
                XV - Nei tempo che segue si aspetta l'arrivo di  Cesare, le operazioni militari sono sospese. 
                Ma un giorno, mentre i nostri approfittando  della tregua riposavano, improvvisamente i Marsigliesi effettuano una sortita e  danno alle fiamme il terrapieno.
                 Fu questo un atto  stupido oltre che sleale. Pensavano forse che giunti a questo punto avremmo  tolto l’assedio? Pensavano che i soldati a stento prima trattenuti dal voler  irrompere nella città e fare strage, si sarebbero ammansiti?
                L’unica spiegazione è  che Domizio li abbia mandati allo sbaraglio al solo scopo di logorare le nostre  forze.
                Ma i legionari, mentre  vedevano che tante fatiche erano state rese vane, si misero nuovamente al  lavoro con irresistibile ardore e mancando il legname per ricostruire il  terrapieno lo fecero parte in muratura e parte riutilizzando il legname che non  era bruciato, ricoprono le travature con graticci ed i graticci di fango. 
                I  nemici quando videro che in pochi giorni avevamo rifatto quelle opere che  pensavano non saremmo stati in grado di rifare, né era possibile abbatterle o  darle alle fiamme, ridotti all’estrema carestia, oppressi da ogni sorta di  mali, stabiliscono di arrendersi senza inganni. Apprese le intenzioni dei  Marsigliesi fugge Milone e su tre navi fugge Domizio.
                 Inseguito da Bruto  sacrifica due delle navi che proteggono la sua fuga.
                  Già a Corfinio Domizio  era pronto a tradire i suoi dandosi alla fuga. 
                  A Marsiglia volle  ripetere la prodezza.
                Cesare arrivato dalla  Spagna ordina che vengano consegnate tutte le armi e i proiettili, le navi e il  denaro del pubblico erario. 
                 Infine per il nome e  l’antichità della città la risparmia.
                  A presidio lascia due  legioni.
                  Manda le altre a  riposare in Italia.