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LIBRO IX - LE ULTIME BATTAGLIE E POI LA PACE

I – I Druidi per conservare il potere tengono le plebi nell'estrema ignoranza e le asservono alle classi dominanti.

Mantengono il potere avocando a sé la gestione delle controversie, cioè l'amministrazione della giustizia, e ciò fanno non in base a leggi scritte, ma secondo il loro arbitrio e la loro convenienza.

Per tenere le plebi sotto la loro tirannia si affidano ad oscure superstizioni e quando serve ricorrono alla tortura ed all'estremo supplizio. Chi non si piega alla loro volontà, se riesce a salvare la vita, viene escluso dalla società. 

Ma quando conquistammo la Provincia, istituendo colonie, costruendo strade, ponti, acquedotti, terme, anfiteatri e ogni altra specie di opere utili allo sviluppo, la ricchezza si diffuse.
Le plebi, tutelate dal diritto Romano, compresero che a noi dovevano la libertà dall'arbitrio e dal bisogno.

Nella Provincia il potere dei Druidi svanì come un incubo scacciato dal sole Romano.

Ora espulsi dalle terre degli Edui, dei Sequani, dei Lingoni, degli Arverni e dei loro clienti, persa l'intera Aquitania, persi i popoli Aremorici (gli abitanti dell'attuale Francia nordoccidentale), nell'estremo tentativo di conservare quanto restava del loro potere i Druidi fomentarono nuove rivolte.

 

II – Informato di tali fatti, Cesare, contrariamente alle sue abitudini, era rimasto a svernare in Gallia.

Dopo tante battaglie aveva ricondotto le legioni negli accampamenti invernali, per godere di un meritato riposo.
Ma venimmo a sapere che, dopo Alesia i Druidi, vista la superiorità delle nostre armi in un conflitto aperto, avevano deciso di far insorgere contemporaneamente i popoli, su cui potevano ancora contare, facendo guerra ciascuno per conto proprio.

Pensavano che in tal modo, dividendo le nostre forze, avrebbero potuto sconfiggerci.
Ma Cesare anticipò i loro disegni.

Ai primi di Gennaio, sfidando i rigori dell'inverno, partì da Bibracte con una scorta di cavalieri, raggiungendo la XIII legione che svernava a Noviodunum Biturigium (Neung-sur-Bevron), dove arrivò anche Gaio Fabio con la XI legione che si trovava lì vicino a Cenabum (Orleans), con tali forze si addentrò nelle ricche e vaste terre dei Biturigi.

Costoro fuggirono in massa, riparando negli stati vicini, ma Cesare procedendo con la massima celerità ridusse all'obbedienza tutti i popoli confinanti con i Biturigi. Questi vedendo che Cesare non aveva infierito sui vinti, ma si era accontentato della consegna di ostaggi, ottenute le medesime condizioni, tornarono pacificati nel proprio territorio. 

La campagna era durata quaranta giorni.

Cesare, riconoscente ai soldati che avevano sopportato i geli dell'inverno percorrendo vie impraticabili sotto la pioggia, immersi nel fango, senza mai lamentarsi, promise ai legionari un premio di duecento sesterzi (lo stipendio annuo di un legionario era pari a 1.000 sesterzi) e duemila ai centurioni.

 

III – A Bibracte Cesare stava amministrando la giustizia quando i Biturigi chiesero aiuto contro i Carnuti che avanzavano verso il Liger (la Loira) per invadere le loro terre.

Cesare per evitare che scoppiasse un più vasto conflitto. Diciotto giorni dopo essere tornato a Bibracte, riprese le armi.
Per alternare le legioni, richiamò quelle che svernavano sull'Arar, a Cabillonum (Chalone-sur- Saone) la XIV ed a Matisco (Macon), tre Bibracte e Lugudunum, la VI.

I Carnuti, che nella precedente guerra avevano perso molte delle loro città, appena seppero che stava arrivando l'esercito, abbandonarono i villaggi fuggendo da ogni parte.

Cesare perché i soldati fossero protetti dai geli invernali, pose il campo dentro Cenabum, utilizzando le case che i Galli avevano abbandonato. Allo stesso tempo mandò la cavalleria a caccia dei nemici. Parte dei Carnuti fu fatta prigioniera, altri non avendo luogo dove ripararsi dalle tempeste invernali, si dispersero tra i popoli vicini.

Per ogni evenienza Cesare lasciò a Cenabum Gaio Trebonio con due legioni.


Gaio Trebonio

 

IV – Come ricordato in precedenza i Bellovaci non avevano dato gli aiuti richiesti a Vercingetorige e solo per intercessione di Commio avevano promesso di inviare duemila uomini, ma forse non mandarono neppure questi.

In quel tempo dissero che non prendevano ordini da nessuno, semmai avrebbero fatto guerra a loro piacimento.

Quel momento sembrava arrivato: infatti gli Suessoni, che sono clienti dei nostri fedeli alleati Remi, ci avvertirono che concentrato in un solo luogo un grande esercito, i Bellovaci, gli Atrebati, gli Ambiani, i Caleti i Veliocassi e i Viromandui, al comando del Bellovaco Correo e di Commio erano pronti alla guerra.

Lo stesso Commio tentò di arruolare i Germani trans-Renani, ma dal Reno vennero solo cinquecento uomini. 
Commio in Britannia e in altre occasioni era stato di valido aiuto a Cesare, che lo ricambiò ponendolo al comando degli Atrebati e dispensando da tributi il suo popolo.


Commio

Ma si dice che sia stato pubblicamente offeso da Tito Labieno, che a dire il vero era oltraggioso anche con i nostri centurioni.

Commio dunque si lamentò con Cesare, ma non avendo avuto soddisfazione, da uomo orgoglioso quale era si ritirò pieno di rancore nel suo regno.

In verità Cesare, privatamente, aveva rimproverato Labieno, richiamandolo ad usare maggiore cautela.


Labieno

Nella presente situazione Cesare non poteva abbandonare i nostri alleati alla mercé dei Bellovaci, né sarebbe stato prudente lasciare che una così grande massa di guerrieri si impadronisse delle loro terre. Pertanto richiamò da Cenabum la XI legione, poi si fece raggiungere da Gaio Fabio e da Caninio Rebilo con la VII e la VIII e si fece mandare da Labieno la IX.

Tutte legioni di provato e antico valore.

 

V – Correo, che aveva posto il campo su una altura circondata da selve e da paludi, saputo dell'arrivo di Cesare riunì il consiglio di guerra.


Correo

Fu deciso che se Cesare fosse arrivato con tre legioni avrebbero ingaggiato battaglia, altrimenti avrebbero cercato di tagliargli i rifornimenti.

Cesare informato dai prigionieri e dai disertori dove si trovava il campo di Correo. mandò dei veterani in esplorazione, da costoro apprese che, a differenza del solito costume dei Galli, Correo si era fortificato con grande cura, inoltre per la sua ampiezza e per la natura dei luoghi era impossibile circonvallare il suo campo.

Quando arrivammo in prossimità dei nemici, questi schierati davanti al proprio campo non si mossero.

Cesare, osservata la grande massa dei Galli, ordinò di fortificarci con un vallo di dodici piedi, sul quale fece costruire un parapetto di altezza sufficiente a riparare i soldati; ad intervalli regolari fece innalzare torri di tre piani, collegate una con l'altra da ponti, muniti di parapetti di vimini; fece scavare un duplice fossato profondo e largo quindici piedi.

Con tali imponenti opere il nostro campo poteva essere difeso da pochi uomini, mentre gli altri andavano in cerca di viveri. In questo tempo avvennero varie scaramucce tra le cavallerie, Cesare lasciava che gli ausiliari Germani, che erano ansiosi di combattere, attaccassero i nemici a piccoli gruppi, ma li tratteneva dall'avanzare troppo temerariamente.

Anche Correo, protetto da una palude e dalla posizione, evitava lo scontro aperto.

Non avendo forze sufficienti per stanarlo, Cesare si fece raggiungere da Gaio Trebonio con le due legioni che svernavano a Cenabum e con la legione di Tito Sestio, che si trovava anch'essa nelle terre dei Carnuti. 

 

VI – Passavano i giorni e continuavano gli scontri nei dintorni della palude, quando gli ausiliari Germani l'attraversarono compatti e dopo aver sbaragliato gli avamposti dei Galli, inseguirono gli altri fin sotto al loro campo, incutendo nei nemici sgomento e terrore.

Correo venuto a sapere che Gaio Trebonio stava arrivando con tre legioni, temette di essere assediato come quelli di Alesia. Decise pertanto di mandare fuori dal campo tutti quelli che erano inabili al combattimento e con loro i bagagli. Quando la lunghissima colonna si mise in moto Correo schierò le truppe davanti al campo per impedire che la inseguissimo.

Ma Cesare non aveva nessuna intenzione di attaccare i nemici, dovendo scalare l'erta salita che portava alle loro fortificazioni. Vide invece, non presidiato dai barbari in posizione dominante un alto colle, separato da loro campo da una piccola depressione.

Allora gettati dei pontoni sulla palude, con la massima celerità scalò il colle e ne occupò la spianata, senza che i Galli avessero il tempo di intervenire. Fortificato il luogo vi fece portare le macchine da guerra con le quali prese a bombardare il sottostante campo di Correo, che, persa la possibilità di difendersi senza pericolo, temendo di essere attaccato mentre si ritirava, al calar del sole diede alle fiamme le fascine che aveva accumulato, sottraendo alla nostra vista tutte le truppe.

Dopo aver marciato per dieci miglia si fortificò in favorevole posizione.

Nei giorni seguenti con frequenti imboscate inflisse ai nostri foraggiatori gravi perdite. Ma quando con seimila fanti e mille cavalieri guerrieri scelti tentò un più insidioso contrattacco cadde nella trappola che Cesare gli aveva teso.

Correo corso in aiuto per fermare la fuga dei suoi, invitato ad arrendersi, combatté fino all'ultimo.


Correo

Cadde da valoroso. 

I Bellovaci, appresa la catastrofe, si affrettarono a mandare a Cesare ostaggi e ambasciatori.

Gli ambasciatori attribuirono a Correo ogni colpa.

Cesare rispose che era facile scaricare ogni responsabilità su un morto, tuttavia non intendeva infierire su coloro che per la propria ostinazione avevano trascinato il proprio popolo alla rovina.

Al loro ritorno gli ambasciatori furono raggiunti dai capi degli altri popoli, che udita la risposta di Cesare si precipitarono a consegnare gli ostaggi.

Commio fuggì oltre al Reno. 

 

VII – Cesare chiamato a sé il questore Marco Antonio al comando della XIII legione, con gli ausiliari Germani invase e devastò le terre degli Eburoni per impedire che costoro le rioccupassero.

Avuta notizia che all'altra estremità della Gallia i Pittoni ed i popoli vicini erano in armi, mandò Gaio Fabio con venticinque coorti (oltre diecimila uomini) in aiuto di Caninio Rebilo, che non era in condizione di tenere a bada tanti nemici con due legioni soltanto.

Marco Antonio Caninio Rebilo

Mandò la XV legione nella Provincia in difesa delle colonie Romane per prevenire improvvise incursioni.

Mandò Tito Labieno con due legioni contro i Treveri che non avevano mai obbedito agli ordini se non costretti dall'esercito.

 

VIII – Gaio Caninio seppe da Durazio, capo dei Pittoni e nostro fedele alleato, che gli Andecavi comandati da Dumnaco avevano invaso le sue terre, e fatti defezionare parte dei Pittoni lo assediava a Limonum (Poitiers).

Caninio accorse in suo aiuto, ma non potendo attaccare i nemici con le sue sole forze si fortificò in favorevole posizione.

Dumnaco allora, lasciato l'assedio, andò all'attacco di Caninio, ma dopo aver subito molte perdite senza aver conseguito nessun risultato, tornò ad assediare Limonum.


Dumnaco

Intanto Gaio Fabio si stava avvicinando con le sue venticinque coorti, appresa la notizia, Dumnaco abbandonato l'assedio si dà alla fuga, ma raggiunto dalla cavalleria Romana e poi dalle legioni, sconfitto, si nasconde nelle più remote regioni della Gallia.

Intanto il Cadurco Lutterio, che già l'anno precedente aveva tentato di invadere la Provincia, accompagnato dal Senone Drappete, tentò nuovamente di farvi irruzione.


Lutterio

Inseguito da Caninio, Lutterio, rinunciato al suo proposito, occupò la citta di Uxellodunum (Vayrac) capitale dei Cadurci.

Temendo di venirsi a trovare nella stessa situazione di Alesia, prima che Caninio si fosse avvicinato, si diede all'incetta della maggior quantità possibile di grano.

Quando Caninio arrivò in prossimità di Uxellodunum si rese conto di non avere forze sufficienti per cingerla d'assedio, ma intanto Drappete e Lutterio, per la presenza di Caninio, dopo aver raccolto il grano erano impossibilitati a portarlo in città, quindi posto il campo a dieci miglia da Uxellodunum, vi fanno ammassare il grano, per portarlo successivamente a poco a poco in città.

Drappete resta a guardia del campo mentre Lutterio nel cuore della notte, percorrendo sentieri nascosti, si avvia con una colonna trasportando una parte del grano. Ma le nostre sentinelle danno l'allarme, Caninio esce dal campo con le coorti, i nemici vengono uccisi o catturati, Lutterio fugge in città.

Drappete, chiuso nel proprio campo, è all'oscuro di tutto.


Drappete

Prima che sia informato, Caninio manda la cavalleria e i fanti Germani all'attacco del campo, che secondo il costume dei Galli, collocato in pianura, era stato modestamente fortificato. I Germani, gente valorosissima, combattendo con estremo vigore irrompono nel campo, arriva Canino con i legionari, l'accampamento viene preso, Drappete è catturato.

 

IX – Caninio, eliminato il pericolo esterno, decide di assediare Uxellodunum. Frattanto arriva Gaio Fabio con le sue venticinque coorti.

Cesare, informato da Caninio, lascia tra i Bellovaci Marco Antonio con quindici coorti, quindi si mette in marcia per raggiungere Uxellodunum. Lungo la strada gli vengono incontro i capi degli stati che attraversava. A tutti rivolge benevole parole e rassicura i timorosi.

Giunto ad Uxellodunum con tutta la cavalleria, riunito il consiglio di guerra, dichiara che per quanto la ribellione dei Cadurci non rappresenti un serio pericolo, tuttavia non si deve consentire che la loro ostinazione, ora che l'intera Gallia è pacificata, rimanga impunita.

La città sorge su un colle così erto da rendere impossibile l'assalto, inoltre poiché Lutterio vi aveva ammassato una grande quantità di provviste, non temeva di doversi arrendere per fame.
Nella sottostante pianura scorre un grande fiume, il Duranius (la Dordogna) che per le sue dimensioni non poteva essere deviato, ma la discesa per approvvigionarsi d'acqua era altrettanto difficile per gli abitanti, quanto lo era la salita per gli assedianti. Cesare mandati in luoghi opportuni arcieri e frombolieri impedisce l'approvvigionamento di acqua.

Restava agli assediati, prossima alle mura, una grande sorgente.
Cesare allora per dimostrare che nulla poteva fermarci, fa costruire in prossimità del colle un terrapieno di sessanta piedi (circa 20 mt) e su questo una torre di dieci piani, sulla quale fa posizionare macchine da guerra, che lanciando frecce e proiettili, tengono lontano dalla sorgente gli uomini di Lutterio. Contemporaneamente fa scavare gallerie e cunicoli attraverso i quali le vene della sorgente vengono tagliate.

In breve la sorgente perenne si esaurisce.
Prostrati dalla sete gli assediati si arrendono.

Cesare nell'intento di annientare il potere dei Druidi, e scoraggiare altre ribellioni, ordina che sia tagliata la mano destra a tutti coloro che avevano portato le armi.

Drappete, o per timore, o per l'umiliazione, dopo alcuni giorni muore d'inedia.

Lutterio approfittando della confusione fugge, ma catturato dall'Arverno Epasnacto, amicissimo del popolo Romano, è condotto in catene da Cesare. 

 

X – Cesare, poiché non aveva mai visitato l'Aquitania, lasciata Uxellodunum e attraversata la Garonna con due legioni, decise di spendere l'ultima parte dell'estate in quella regione.

Visto che tutte le popolazioni gli resero omaggio e si posero sotto la sua protezione, partì per Narbona con una scorta di cavalieri e rimandò le legioni negli accampamenti invernali. Si trattenne in Provincia qualche giorno per presiedere le sessioni di giustizia e premiare coloro che in occasione della sollevazione della Gallia con il loro fedele aiuto lo avevano sostenuto nell'estrema difficoltà.

Lasciata la Provincia raggiunse a Nemetacum (Arras) le legioni che svernavano in Belgio, qui venne a sapere da Antonio che Commio, rientrato nella sua terra, aveva cercato di dar vita a una nuova ribellione, ma sconfitto dalla nostra cavalleria, si era arreso ad Antonio. Come unica condizione aveva chiesto di non dover comparire davanti a nessun Romano.

Antonio ricordando i precedenti (Labieno aveva ordinato di ucciderlo) aveva accettato la richiesta di Commio e Cesare approvò.
Per la sua antica amicizia con Cesare a Commio fu concessa nel territorio degli Atrebati una terra dove stabilirsi.
Labieno intanto dopo uno scontro di cavalleria aveva ridotto alla ragione i Treveri.

Per tutto il tempo che Cesare svernò nella Belgica agì in modo da pacificare definitivamente tutte le popolazioni, premiò con grandi benefici coloro che si erano mantenuti fedeli al popolo Romano e non gravò di nuovi tributi le popolazioni, che stremate da tante avverse battaglie, finalmente potevano assaporare il gusto della pace.

 

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Libro XII Libro XIII
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