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LIBRO XII - LA DISFATTA IN AFRICA E LA MORTE DI CURIONE

I –Curione sistemate le cose in Sicilia, partito per l’Africa secondo gli ordini di Cesare con due legioni e cinquecento cavalieri, sbarca a ventidue miglia da Clupea (oggi Kelibia in Tunisia).

Publio Attio Varo comandava la flotta e le truppe dei Pompeiani, ma spaventato dal numero delle nostre navi, fugge per via di terra ad Utica, abbandonando le navi.

Curione dopo due giorni di marcia arriva al fiume Bàgrada (Medjerda), da qui procede fino al luogo detto Castra Cornelia, perché vi si era accampato Publio Cornelio Scipione l’Africano. In pari tempo manda Marcio con le navi da guerra ad Utica.

I Castra Cornelia distano da Utica poco più di un miglio. Addossato alle mura della città si era accampato Varo. Visto che dalle campagne venivano portate grandi provviste in città, Curione manda la cavalleria a saccheggiare questi convogli.

Varo manda in soccorso seicento cavalieri numidi e quattrocento fanti che pochi giorni prima il re Giuba aveva inviato di rinforzo.


Giuba

Nello scontro centoventi cavalieri numidi sono uccisi, gli altri fuggono nell’accampamento di Varo. All'arrivo ad Utica delle navi da guerra di Marcio, Curione ordina che le navi da trasporto, circa duecento, ormeggiate nel porto, si portino nei Castra Cornelia.

Il suo ordine viene tempestivamente eseguito, così l’esercito ha ogni genere di approvvigionamenti.

 

II – Rientrato nel campo, Curione viene acclamato “imperator” (comandante vittorioso) da tutto l'esercito.

Il giorno successivo avanza su Utica, ma mentre si sta fortificando, i suoi esploratori lo avvertono che arrivano in soccorso di Utica grandi rinforzi inviati da re Giuba.

Curione manda la cavalleria per fermare i nemici, mentre le legioni si schierano in formazione di battaglia. Colte di sorpresa le truppe di Giuba si sbandano, la cavalleria fuggendo lungo il lido ripara dentro Utica, molti dei fanti vengono uccisi.

Il giorno appresso disertano dall'esercito di Curione due centurioni Marsi e ventidue legionari, tutti costoro avevano militato a Corfinio nelle fila dei Pompeiani. Varo incoraggiato da questo episodio, cerca di spingere altri legionari alla defezione.

Ma Curione, convocato l'esercito, ricorda ai reduci di Corfinio, che non furono loro ad abbandonare Domizio Enobarbo, ma fu costui a tradirli progettando una fuga vergognosa. “Io voglio essere considerato solo un soldato di Cesare, voi mi avete chiamato imperator, ma se siete pentiti restituitemi il mio nome”.

I soldati commossi dalle sue parole lo interrompono gridando di non perdersi d'animo, della loro fedeltà non deve dubitare, in ogni momento sono pronti alla battaglia.

 

III – Curione temendo che Giuba mandi nuovi rinforzi, decide di dare battaglia appena possibile. Il giorno successivo si scontra con i soldati di Varo, che messi in fuga si rifugiano entro le mura di Utica, lasciando sul campo numerosi caduti.

Immediatamente incomincia l'assedio cingendo la città con un vallo.
Parte degli abitanti, favorevoli a Cesare, spingono perché Varo con la sua ostinazione non metta in pericolo la sorte di tutti.

Mentre si svolgevano queste trattative arrivano messi di Giuba che annunciano l'arrivo del re con grandi forze.
I Pompeiani riprendono fiato.

Curione dapprima non crede a tali notizie, poi quando viene a sapere che l'esercito di Giuba si trova a venticinque miglia, abbandona l'assedio, si ritira nei Castra Cornelia e ordina che dalla Sicilia gli vengano mandate due legioni e il resto della cavalleria (era sbarcato con soltanto 500 cavalieri).

Per l'abbondanza delle provviste, aveva tutto il tempo di aspettare nei Castra Cornelia i rinforzi.

 

IV – Dopo aver preso queste decisioni, viene informato che Giuba, richiamato in patria per conflitti interni, aveva lasciato il solo suo luogotenente Saburra, con poche truppe, in soccorso degli Uticensi.

Curione presta fede a questa voce e senza darsi ulteriore pena, muta parere e decide di attaccare il nemico. A metà della notte manda la cavalleria sul fiume Bàgrada dove si era accampato Saburra.


Saburra

I nostri attaccano di sorpresa i Numidi, che, secondo il loro costume, si erano fermati senza fortificare il campo. Molti ne uccidono, molti fuggono, molti ne fanno prigionieri. Curione esce dai Castra Cornelia lasciando a guardia del campo cinque coorti, dopo aver marciato per sei miglia incontra i cavalieri che lo informano del felice esisto dello scontro.

Chiede ai prigionieri chi comandi il campo, quelli rispondono che è Saburra.
Curione vede confermate le notizie che gli erano state riportate, quindi accelera la marcia, ma i cavalieri spossati da una notte di battaglia e dalle lunghe cavalcate sono stremati.

Saburra intanto informa dell'accaduto Giuba che lo seguiva a sei miglia di distanza, con il grosso dell'esercito. Giuba gli manda duemila cavalieri e un reparto di fanti scelti.

 

V – Saburra prevedendo l'arrivo di Curione si prepara alla battaglia, ordinando ai suoi di ritirarsi a poco a poco, simulando paura.

Curione cade nella trappola e scendendo dalle alture si addentra nella pianura, dove per la stanchezza dei suoi è costretto a fermarsi.

Saburra manda la sua cavalleria all'attacco, i nostri tentano di resistere, ma erano rimasti solo duecento cavalieri, poiché gli altri spossati dalla fatica si erano fermati lungo la strada.

Pochi cavalieri riescono a salvarsi ed assieme a quelli che si erano fermati raccolti da Caninio Rebilo rientrano nei Castra Cornelia.

La fanteria viene sterminata.

Curione cade combattendo.

Caninio Rebilo Curione

Il questore Marcio Rufo, preso il comando nei Castra Cornelia fa salire sulle navi dirette in Sicilia tutti i soldati che può. Quelli che non sono riusciti ad imbarcarsi, si arrendono ad Attio Varo, ma catturati da Giuba parte sono uccisi, parte sono presi prigionieri.

Giuba entra in Utica da trionfatore accompagnato da parecchi senatori Romani. 

 

VI – La scomparsa di Curione e la morte di tanti valorosi legionari colpì aspramente Cesare.  

Curione, giovane e intrepido, gli era particolarmente caro, ma forse nella difficile situazione che si era creata in Africa con la discesa in campo di Giuba, sarebbe stata più utile l'esperienza di Caninio Rebilo, che per parte sua per quanto ferito salvò il salvabile.

Giuba aveva un personale rancore contro Curione, che da tribuno della plebe aveva proposto una legge per incorporare il suo regno nella Repubblica Romana, mentre Pompeo aveva concesso a suo padre Iempsale il regno di Numidia (nell'81)

 

VII – Quasi nello stesso tempo Cesare aveva affidato a Gaio Antonio (fratello di Marco Antonio) assieme a Publio Cornelio Dolabella la difesa dell'Illiria dai Pompeiani.

Dolabella aveva il comando della flotta, mentre Gaio Antonio quello di quindici coorti legionarie.

Dolabella sopraffatto dalle superiori forze nemiche fu costretto alla fuga, abbandonando Gaio Antonio, che, bloccato dai Pompeiani nell'isola di Curicta (Veglia, Croazia) dove era sbarcato, rimasto senza viveri, fu costretto alla resa e imprigionato, le sue coorti vennero forzatamente arruolate dai nostri nemici.

 

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